La sua non fu una falsa testimonianza: un agente di commercio di Francavilla Fontana è stato assolto dopo essere finito a giudizio proprio in quanto accusato di aver dichiarato il falso, come testimone, nel corso di un processo civile.
Il caso originario era quello di una finanziaria che avrebbe vantato un credito nei confronti di una persona nel frattempo deceduta. Nella causa civile fu chiamato a deporre dalla difesa, in qualità di teste, proprio l’agente di commercio – parente del defunto – che dichiarò di non essere mai stato a conoscenza di quel credito e quindi neppure di quel debito dall’ammontare prossimo ai 15mila euro. E nulla dichiararono di saperne neppure i familiari più prossimi al presunto debitore.
La causa civile si concluse a sfavore di chi l’aveva intentata – e cioè la finanziaria – ma successivamente quel testimone fu denunciato dalla parte soccombente proprio per falsa testimonianza, che altro non è che il reato commesso da chi, chiamato a deporre come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, afferma il falso o nega il vero, o tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato.
A conclusione del processo penale scaturito da quella denuncia, il giudice Simone Orazio del Tribunale di Brindisi ha assolto con formula dubitativa (insufficienza di prove) l’agente di commercio ed evidentemente sposato le tesi difensive del suo legale di fiducia, l’avvocato Angelo di Mitri del Foro di Brindisi, sebbene non sia stata ancora depositata la motivazione della sentenza emessa poco prima di Pasqua.
In sostanza, il giudice civile non aveva deciso la prima controversia sulla base delle dichiarazioni di quel teste, ma si era soffermato su altre considerazioni logico-giuridiche. Nel corso della sua arringa, infatti, l’avvocato di Mitri ha accennato al fatto che la querela nei confronti del suo assistito altro non fosse che una “ritorsione” giudiziaria – una sorta di vendetta dopo la sconfitta nella causa civile – consequenziale alla sua deposizione testimoniale, più che una reale e fondata richiesta di giustizia da parte del querelante.
Non solo: sempre a processo (ultima udienza, lo scorso 7 aprile) è emerso come pure altri congiunti dello stesso agente di commercio imputato fossero stati chiamati in giudizio sempre per quel presunto credito/debito. Di qui l’ipotesi di una contro-denuncia per stalking (in questo caso, giudiziario) per via delle reiterate molestie nei confronti dell’autore della denuncia per falsa testimonianza, ipotesi paventata dallo stesso legale il quale ha annunciato che si potrebbe procedere in tal senso nel caso di una nuova azione temeraria nei confronti del suo assistito e delle persone alle quali egli è legato.
“Il caso di specie – dichiara l’avvocato di Mitri – è l’occasione per scoraggiare chiunque dall’intraprendere iniziative legali avventate col rischio di potersi trovare, un giorno, da denunciante a denunciato e, nel caso, imputato. Le sentenze vanno rispettate e le persone ancor prima delle sentenze”.