A parte i soliti dibattiti sui social network, che s’intensificano con l’avvicinarsi dell’appuntamento, il silenzio e l’attesa caratterizzano questo scorcio di campagna pre-elettorale a Oria. Non circolano neppure nomi di possibili candidati sindaco, mentre molti dei soliti noti – espressioni di un passato politico e amministrativo più e meno recente – si muovono nel sottobosco a caccia di consensi, millantando idee.
L’impressione è che si stia aspettando il quadro definitivo e ufficiale in vista delle regionali prima di ipotizzare strategie e alleanze per le comunali della prossima primavera. Sembra che i due grandi protagonisti della scorsa tornata – Cosimo Pomarico e Giuseppe Carbone – siano intenzionati a riprovarci, ma anche qui nessuna certezza. Si pensa, ovviamente, come sempre, a pescare dalla cosiddetta società civile qualche figura nuova, una faccia pulita, fosse anche una foglia di fico per nascondere vergogne – vere o presunte – da celare con pudore talora, in realtà, malcelato.
La situazione è magmatica tanto a destra, quanto a manca, senza trascurare il centro. Uno scenario tanto cangiante che, anche alla luce dell’instabilità cronica nell’amministrare la res publica oritana, nessuno in fondo si stupirebbe poi tanto se la sinistra diventasse destra, se la destra si facesse sinistra. Tutti – come sempre – invocano il cambiamento, i nuovi e i vecchi. Sì, persino i recenti vecchi dell’amministrazione uscente.
Un’amministrazione – come del resto anche quelle che l’hanno preceduta – guidata e anzi telecomandata dagli eletti e dai loro singoli, spiccioli, a tratti puerili, interessi e non, invece, dai partiti. Il bene comune sullo sfondo, quello delle cerchie in primo piano. Un fatto di cultura, si dice. Una questione d’ignoranza, a ben guardare.
Agognare la svolta è legittimo quando non proprio necessario, ci mancherebbe. Sbandierare ai quattro venti i buoni propositi anche: tutti hanno il sacrosanto diritto di dire tutto quello che passa loro per la testa assumendosene ogni responsabilità, compresa quella di fare cattivissime figure, di non essere creduti perché a corto di credibilità.
Se i partiti tornassero a fare i partiti, se i partiti fossero quelle fucine d’idee e all’interno di essi si confrontassero pensieri, si costruissero programmi erga omnes, se i partiti fossero in grado di vincolare almeno moralmente (ex lege non si può) gli eletti al mandato loro conferito dagli elettori, tutto risulterebbe più semplice.
Come in ogni impresa che si rispetti e che funzioni, ogni cosa dovrebbe partire da un’accurata selezione del “personale”, ossia di coloro che confezioneranno il prodotto o, come in questo caso, il servizio (pubblico). Buone basi – sapere, per esempio, distinguere, volendo banalizzare, tra una determina e una delibera – e poi tanta formazione, formazione continua. Condivisione e discussione.
Hanno ragione quelli che dicono: essere nuovi non basta, serve saper pensare per poi riuscire a fare. Se il sistema è quello che sembra – logoro, per non dire marcio, di sicuro inefficiente – l’unica soluzione plausibile pare quella d’intervenire a monte, non a valle. Cambiando i modi, non solo gli interpreti. Un ottimo spartito suona molto diversamente se eseguito da un eccellente musicista.
Al di là delle colorazioni politiche, a Oria – ma sono considerazioni di carattere generale che potrebbero valere per molte altre realtà – occorrono gli uni e gli altri. Compositori e suonatori. Contenitori e contenuti. Manager e operai.
e.z.