
Il legale sin da subito aveva chiesto la revoca dell’ordinanza con cui, in data 18 aprile 2017, lo stesso Tribunale di Sorveglianza del capoluogo salentino aveva revocato il differimento dell’esecuzione della pena per gravi motivi di salute (la detenzione domiciliare a termine era stata concessa il 15 luglio 2011).
Da quel 18 aprile, però, l’anziano tornò nella casa circondariale di Bari, dov’era precedentemente ristretto. La revoca della detenzione domiciliare era stata disposta in quanto, il 16 marzo 2017, l’uomo fu raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere – emessa dal Gip presso il Tribunale di Brindisi – dopo ch’era stato trovato in possesso, appunto, di un fucile rubato e dell’annesso munizionamento. Il fatto era ritenuto incompatibile con la prosecuzione della misura, in ragione della “pericolosità” manifestata dal beneficiario.

Quest’ultimo fu poi assolto dal Tribunale di Brindisi, con formula piena “per non aver commesso il fatto”, il 6 novembre 2017. Così, l’avvocato Pesce presentò istanza di revoca della revoca della detenzione domiciliare in quanto anche nel procedimento di sorveglianza avrebbe dovuto trovare applicazione il principio generale della revocabilità dei provvedimenti giurisdizionali nel caso di mutazione delle situazioni, dopo la loro adozione, delle ragioni che ne abbiano costituito il fondamento. Tradotto: se il 78enne non aveva commesso quei reati, perché mai non avrebbe potuto tornarsene a casa?
In un primo momento il Tribunale di Sorveglianza (il 23 gennaio 2018) aveva rigettato l’istanza di revoca, ma il 25 giugno dello scorso anno la Cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato e stabilito che il caso avrebbe dovuto essere riesaminato dallo stesso Tribunale di Sorveglianza alla luce del principio generale dell’attualità e, dunque, della temporaneità dei provvedimenti giurisdizionali. In sostanza, l’assoluzione dai reati che gli erano stati contestati aveva effettivamente fatto cadere i presupposti sulla base dei quali era stata revocata la misura della detenzione domiciliare.
Di qui, come invocato dal legale col quale ha concordato la Suprema Corte, che in passato si era già espressa sull’argomento, lo scorso 16 maggio, il Tribunale di Sorveglianza ha riesaminato la questione e, dopo due anni, ha rispedito a casa il detenuto, il cui stato di salute è stato confermato incompatibile con il regime carcerario.