Dura lex, sed lex. Tre anni e due mesi di carcere per aver tentato di rubare il telefonino dalla tasca di un turista in metropolitana: questa la pena inflitta dall’ex gip di Milano, Clementina Forleo, originaria di Francavilla Fontana, a un 40enne algerino. Forleo, assurta agli onori delle cronache nazionali per aver assolto due tunisini dall’accusa di terrorismo internazionale oltre che per l’inchiesta Bnl-Unipol, è stata da qualche mese trasferita a Roma, dov’è giudice monocratico del Tribunale.
Una sentenza piuttosto severa, ma a rigore di Codice, quella pronunciata dal giudice francavillese, che costringe il condannato – a differenza di tanti altri borseggiatori – a scontare la punizione dietro le sbarre: per lui, recidivo, nessuna attenuante, ma solo le aggravanti della destrezza e dell’aver tentato il colpo sul mezzo pubblico.
L’esito del processo per direttissima, dopo l’arresto in flagranza, è stato impietoso ed esemplare. Il pubblico ministero aveva infatti chiesto otto mesi di reclusione. Il giudice Forleo, però, dopo aver esaminato i fatti e la posizione dell’imputato ha deciso diversamente.
La vicenda che vede protagonista, suo malgrado, l’africano risale a giugno: questi, salito su un treno della metro, posa lo sguardo sul cellulare che un turista italiano, in vacanza nella capitale, tiene nella tasca posteriore dei pantaloni. Dall’idea all’azione è questione di attimi: solo che la vittima si accorge del tentativo di furto e reagisce, riuscendo a bloccare il ladro e a consegnarlo alle cure di due allieve carabiniere che viaggiavano nello stesso convoglio. L’algerino viene arrestato dalla polizia appena il treno raggiunge la stazione Termini: arresto convalidato e processo per direttissima. L’avvocato dello straniero consiglia il rito abbreviato, ma il suo assistito rinuncia. Scelta col senno di poi assai poco saggia, dato che a fronte della richiesta di condanna a otto mesi avanzata dall’accusa, dopo essersi ritirata in camera di consiglio, il giudice Forleo pronuncia l’aspro verdetto: tre anni e due mesi senza attenuanti, ma tenuto conto di aggravanti e recidiva. Una sentenza iniqua, secondo la difesa, che ha annunciato l’intenzione di appellarla.