Nella tarda serata di giovedì 11 gennaio, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brindisi, dottoressa Tea Verderosa, a conclusione della lunga camera di consiglio tenuta in pari data al termine di una complessa e articolata udienza di discussione delle parti, ha definitivamente ordinato l’archiviazione del procedimento penale sorto a carico di Assunta Corigliano, direttore dei Servizi generali e amministrativi (DSGA) in servizio presso l’Istituto comprensivo “A. Manzoni – D. Alighieri” che accorpa i plessi scolastici di San Donaci e Cellino San Marco, difesa dall’avvocato Giovanni Luca Aresta del Foro di Brindisi.
La dottoressa Corigliano era stata accusata da F.M., all’epoca dei fatti assistente amministrativo (personale ATA) – negli istituti scolastici di cui sopra, che aggregano – sotto il profilo organizzativo e gestionale – le scuole dell’infanzia e primaria di San Donaci e Cellino San Marco, di mobbing, ossia quell’insieme di comportamenti persecutori nei confronti del lavoratore al fine di emarginarlo e allontanarlo dal gruppo di lavoro. Il giudice ha dato ragione all’avvocato Aresta e torto, di fatto, all’avvocato Fiorino Ruggio del Foro di Lecce, che ha sostenuto, negli anni, la colpevolezza della dottoressa Corigliano in relazione a più di 1.500 episodi di persecuzione e discriminazione in ambito lavorativo.
Dopo una complessa attività di indagine, coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica dottor Francesco Carluccio, il Gip ha definitivamente accolto la tesi sostenuta dall’avvocato Aresta, secondo cui, tra le altre cose, non solo la condotta della sua assistita sarebbe stata ispirata ai principi del “pubblico dipendente modello”, ma sarebbe anche stata orientata al buon andamento dell’organizzazione scolastica, che rientra tra i compiti del Dsga.
Il decreto di archiviazione ma soprattutto le sue motivazioni potrebbero fare giurisprudenza anche fuori dai confini strettamente locali in quanto l’organo giudicante ha dato ragione alla difesa dell’indagata nell’evidenziare come, in materia penale, non esista un reato specifico di mobbing nell’attesa che sia approvata una proposta di legge – arenatasi in Parlamento – in tema di molestia morale e violenza psicologica sui luoghi di lavoro. Ciò rende necessario richiamarsi ad altre fattispecie di reato quali l’ingiuria, la diffamazione, l’abuso d’ufficio, le lesioni personali, la violenza sessuale, la violenza privata, l’estorsione o i maltrattamenti in famiglia, ma non il mobbing.
Nel richiamare il reato di maltrattamenti in famiglia, la difesa dell’indagata ha evidenziato come assolutamente mancante nel caso di specie il requisito del rapporto di “para-familiarità” tra i soggetti coinvolti, nel senso che, pur non rientrando nel contesto tipico della famiglia, il rapporto tra il mobber e la sua vittima deve comportare una relazione abituale e consuetudinaria di vita, poiché è solo con una simile vicinanza che può profilarsi, attraverso lo svilimento e l’umiliazione del soggetto che subisce, l’ipotesi di maltrattamenti: per dirla in soldoni, l’ambiente scolastico in cui sarebbero verosimilmente maturati gli episodi denunciati – tesi condivisa dal Gip – non può di certo essere considerato “parafamiliare”.