Questa mattina i Carabinieri di Brindisi, nell’intera provincia di Brindisi e in quella della limitrofa Lecce, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere – emessa dal gip del Tribunale di Lecce su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia – nei confronti di 50 indagati (in basso le foto segnaletiche) ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, concorso in omicidio, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, porto e detenzione illegali di arma da fuoco e spaccio di sostanze stupefacenti, tutti i reati commessi con l’aggravante del metodo mafioso.
L’indagine, avviata dal Nucleo investigativo del Comando provinciale di Brindisi nel settembre 2012 a seguito dell’omicidio di Antonio Presta, figlio di un collaboratore di giustizia, ha consentito, in particolare, mediante attività tecniche, di:
– identificare in Carlo SOLAZZO quale autore dell’omicidio;
– delineare l’organigramma e gli assetti organizzativi territoriali della cosiddetta frangia “mesagnese” della Sacra corona unita, al cui vertice si sono avvicendati Antonio VITALE, Massimo PASIMENI, Daniele VICIENTINO e Ercole PENNA (da cui la denominazione “Vitale-Pasimeni-Vicientino”), operante, principalmente, nei comuni meridionali della provincia di Brindisi;
– identificare i sodali di due articolate associazioni finalizzate al traffico illecito di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana) con basi operative, rispettivamente, nei comuni brindisini di San Donaci e Cellino san Marco;
– scoprire che Benito CLEMENTE e Antonio SARACINO sono gli autori dell’attentato dinamitardo compiuto il 19 dicembre 2012 ai danni di un immobile di proprietà del comandante della stazione di San Donaci, luogotenente Francesco LAZZARI (il movente del delitto era riconducibile all’intensificazione dell’attività repressiva messa in atto dalla stazione a partire dalla data di assunzione del comando, 7 luglio 2012, dello stesso Lazzari;
– riscontrare le propalazioni di 16 collaboratori di giustizia.
Le attività d’indagine, come scritto sopra, venivano avviate in conseguenza all’omicidio di Antonio PRESTA (verificatosi a San Donaci il 5 settembre 2012) figlio di Gianfranco PRESTA, già collaboratore di giustizia, negli anni ’90 esponente di spicco della “Sacra Corona Unita”.
Sin dalle prime fasi delle indagini è risultato evidente che l’omicidio era da ricondurre alla gestione delle attività illecite, in particolare alla piazza di spaccio, nei territori di San Donaci e Cellino San Marco.
È stato appurato, infatti, che Antonio PRESTA, con la sorella Daniela, e con l’avallo dell’allora convivente di quest’ultima, Pietro SOLAZZO, in quel periodo detenuto, stavano assumendo il predominio per la gestione del traffico di sostanze stupefacenti a Cellino San Marco nel tentativo di scalzare Carlo SOLAZZO, fratello di Pietro (convivente della donna) all’epoca a capo di una compagine criminale dedita allo spaccio di stupefacenti in quel comune.
In tale contesto, è stato accertato che il 15 agosto 2012, Antonio PRESTA, con la sorella Daniela, aveva incendiato un’abitazione di Carlo SOLAZZO, approfittando di un periodo di assenza di questo e della sua famiglia.
Proprio in conseguenza di questo incendio, Carlo SOLAZZO, il 5 settembre successivo, con un altro soggetto che non è stato possibile individuare, si rendeva responsabile dell’omicidio di Antonio PRESTA.
Le successive indagini hanno consentito di individuare gli esponenti di due gruppi criminali inseriti in contesti mafiosi operanti nei comuni di San Donaci e Cellino San Marco, facenti capo rispettivamente a Piero SOLETI ed ai fratelli Carlo e Pietro SOLAZZO, detti cacafave, operanti nel settore del traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e che si avvalevano anche della disponibilità di armi da fuoco per imporre la loro egemonia in quei territori.
Pietro SOLAZZO, dopo la sua scarcerazione avvenuta nel febbraio 2013, era entrato inizialmente in contrasto col fratello Carlo per poi rappacificarsi e rientrare a pieno titolo nella compagine criminale.
I gruppi sandonacese e cellinese, attraverso i rispettivi capi, i luogotenenti ed i gregari operavano in simbiosi e nel pieno rispetto territoriale, evitando pericolose sovrapposizioni e sconvenienti disaccordi. Si era creato, anzi, una sorta di mutuo soccorso – tra di essi – nella gestione delle illecite attività, ma anche nel commettere atti intimidatori, come quello ai danni della casa del luogotenente Lazzari (commesso da Benito CLEMENTE e Antonio SARACINO) o nell’approvvigionamento della droga per le rispettive piazze di spaccio.
I due gruppi criminali concentravano le loro energie nell’espansione dei propri interessi attraverso nuove alleanze e canali di approvvigionamento di sostanze stupefacenti e, in particolare, per l’acquisto della cocaina da immettere sul mercato con enormi vantaggi economici per ambo le parti.
L’assenza di lotte intestine favoriva lo sviluppo delle attività criminali dei due gruppi consentendo agli appartenenti di trarne agevole sostentamento, anche per i sodali detenuti e per i loro nuclei familiari.
Pietro SOLETI, capo indiscusso del sodalizio di San Donaci, si avvaleva dei suoi luogotenenti Floriano CHIRIVI’ (poi detenuto e sostituito dal suo fedele Antonio SARACINO) e Benito CLEMENTE.
Questi, attraverso il club “LE MASSÈ” di San Donaci, gestivano il mercato dello spaccio di sostanza stupefacente. Proprio di fronte al club – luogo di incontro e di spaccio – è stato consumato l’omicidio di Antonio PRESTA.
Altro interesse del gruppo di San Donaci erano le armi, reperite per il tramite del cittadino slavo Gennaro HAJDARI, alias “Tony Montenegro”, che le faceva giungere dall’Est Europa.
Il gruppo di Cellino San Marco, guidato dai fratelli SOLAZZO, si avvaleva dell’operato dei propri luogotenenti Marco PECORARO e Saverio ELIA e di una capillare rete di spacciatori, che spacciavano cocaina sia nel centro abitato di Cellino San Marco (per le vie del paese, presso la sala giochi denominata e presso altri esercizi pubblici) e sia nei paesi limitrofi (Guagnano).
La droga veniva approvvigionata da vari canali, naturalmente Torchiarolo, ma anche da Oria, Brindisi e Lecce.
Con l’operazione di oggi, che ha inferto un nuovo duro colpo alla criminalità organizzata brindisina, si è confermato quanto già emerso in precedenti indagini e, in particolare, la volontà dei gruppi criminali di operare in armonia senza giungere a scontri ma cercando di collaborare, nonché il ritorno al rito di affiliazione, come testimonia la conversazione ascoltata nell’autovettura in uso a Gabriele LEUZZI nel maggio 2014. Nel corso di numerosi dialoghi, Gabriele CUCCI, dice che a breve deve fare “la condanna buona” (così la definiscono nel colloquio), si informa e cerca di memorizzare la formula che a lui sarebbe stato richiesto di pronunciare nel corso del rituale.