Nell’arco di un anno, hanno percepito soltanto cinque stipendi su 12 (13 con la tredicesima) le sei dipendenti – due operatrici socio-sanitarie e quattro ausiliarie – del Pio Istituto “Caterina Scazzeri” di Latiano, residenza socio sanitaria assistenziale partecipata dal Comune e convenzionata con l’Asl di Brindisi. Dall’aprile 2016 a oggi, sono state loro corrisposte solo alcune le mensilità a salti. Prima e dopo, il nulla più assoluto. In sostanza, per sette mesi hanno lavorato gratis e a niente, se non a peggiorare le cose con la soppressione dei riposi, è servito il subingresso temporaneo nella gestione – il 2 marzo scorso – della Fondazione Bartolo Longo, presieduta da don Franco Galiano.
L’auspicio era che questo cambiamento sarebbe stato finalmente risolutore grazie anche alla presenza di un sacerdote, giacché – si sa – i sacerdoti hanno o dovrebbero avere una sensibilità più spiccata e preoccuparsi dell’anima e, in casi come questo, pure del corpo. E, invece, pare che i dipendenti della Fondazione siano pagati regolarmente, al contrario di quelli dello “Scazzeri”.
Si sperava, insomma, che l’arrivo di don Franco avrebbe comportato una schiarita, invece non è stato così e, peggio, al momento non s’intravede neppure un barlume di luce in fondo al tunnel.
Un tunnel che, purtroppo, ciclicamente si fa più lungo e buio per le lavoratrici che, a turno, assistono 24 ore su 24 gli ospiti della struttura (oggi 11, il massimo di 18) le cui famiglie pagano mensilmente una retta di circa 1.200 euro.
“Che fine fanno quei soldi che potrebbero essere sufficienti a pagarci stipendi e contributi previdenziali?”, si chiedono Oss e Osa, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
Qualcuna di loro, nel frattempo, a furia di lavorare senza corrispettivo – con lo stress e le mortificazioni, oltre alle difficoltà economiche, che ciò comporta – ha contratto la cosiddetta sindrome da burnout ed è in malattia, con le conseguenze del caso per le colleghe e gli stessi pazienti.
La storia dello “Scazzeri”, specie negli ultimi anni, è stata spesso un po’ travagliata. Non sono mancate le proteste e i sit-in, sempre civili ma allo stesso decisi, con il supporto dei sindacati.
Se la musica non cambia rapidamente – mentre il Comune sembra interessato a esternalizzare definitvamente la gestione di quella che dal 2011 è un’azienda speciale – se ne prevedono di nuovi all’orizzonte.
Nel frattempo, a palazzo di città sono giunti i primi decreti ingiuntivi e le dirette interessate potrebbero rivalersi sul patrimonio pubblico pur di soddisfare i loro crediti, che sono per definizione primari e dunque privilegiati rispetto ad altri.
Come si fa a mangiare, a vivere dignitosamente o a mantenere i figli con appena 5mila euro in un anno? Non si fa e basta, è impossibile. Ed è la situazione che queste donne – madri di famiglia – devono fronteggiare ogni giorno da 12 mesi a questa parte. Il Comune, la Fondazione o chi per loro devono trovare una soluzione, e devono farlo al più presto.