Se la legge numero 3 del 2012 è stata ribattezzata “salva suicidi”, evidentemente un motivo c’è ed è facile intuirlo. La crisi e le difficoltà economiche che a essa conseguono possono stritolare la gente nelle morsa delle loro spira portandola a compiere gesti estremi. Così avrebbe potuto essere, purtroppo, per una famiglia del Lodigiano, in Lombardia, se del suo caso non fossero stati interessati gli avvocati Giuseppe Dellisanti – originario di Taranto – e Nicola Palumbo, che esercitano a Parma occupandosi principalmente di diritto fallimentare. Grazie alla loro conoscenza della materia, è stato possibile “rottamare” debiti per circa 250mila euro pagandone meno della metà.
Dal 2008 ai giorni nostri, i due coniugi lombardi avevano accumulato quel debito sia relativamente all’attività del marito – titolare di una piccola ditta individuale in difficoltà – sia per via di un un mutuo e diversi finanziamenti contratti in ambito familiare.
Un peso enorme sul groppone che mai e poi mai sarebbero riusciti a scrollarsi di dosso, fin quando i due legali non hanno prospettato loro la possibilità di presentare istanza per l’applicazione, appunto, della “salva suicidi”.
Non una cosa automatica, poiché innanzitutto è necessario dimostrare la meritevolezza dei debitori. Tradotto: convincere il giudice che i debiti non sono stati accumulati per semplice strafottenza o, peggio, con “dolo”, sapendo insomma di non poterli onorare, ma per cause indipendenti dalla volontà del debitore e nonostante il suo impegno. È il caso della perdita del lavoro o della riduzione dello stipendio, e non – tanto per fare un esempio – dei conti per il gioco d’azzardo o le scommesse online.
Superato il vaglio della meritevolezza, la legge numero 3/2012 prevede poi tre vie: il piano di rientro dal debito, l’accordo coi creditori e la liquidazione del patrimonio (caso estremo). Dopo aver dimostrato che i loro assistiti meritavano di accedere alla “salva suicidi”, gli avvocati Dellisanti e Palumbo hanno optato per l’accordo coi creditori, fondato essenzialmente sulla vendita di una casa di proprietà della famiglia da loro assistita. L’hanno fatta periziare (valore, circa 100mila euro) e i proprietari hanno poi trovato un compratore. Successivamente, i legali hanno contattato uno ad uno i creditori e hanno proposto loro i termini dell’accordo, ossia estinguere del tutto il debito con i proventi della vendita dell’immobile. I titolari del 60 per cento della massa creditizia – in primis un noto istituto bancario – hanno accolto la proposta, che è poi stata omologata dal Tribunale.
In sostanza, il debito iniziale di circa 250mila euro, contratto perlopiù con la stessa banca e diverse finanziarie, è stato falcidiato o, se si preferisce, rottamato e più che dimezzato: grazie alla restituzione di circa 100mila euro – recuperati dalla vendita dell’abitazione – i coniugi sono riusciti a togliersi di dosso un peso che, col trascorrere del tempo, si stava facendo sempre più oneroso e impossibile da sostenere. Hanno perso la casa e ora vivranno in affitto, ma prima o poi sarebbe successo che gliel’avrebbero tolta ugualmente quella casa, la quale poi sarebbe magari stata rivenduta a un prezzo inferiore ai 100mila euro. Con la restante parte del debito che, ovviamente, avrebbe gravato ancora sulle loro spalle.
In Italia, non sono molto numerose le soluzioni di questo tipo. Se ne contano in tutto una ventina, soprattutto al Centro-Nord. Al Sud, dove più forte è l’attaccamento – perlopiù affettivo – ai beni di proprietà, come una casa di famiglia tramandata di padre in figlio, si è più restii a intraprendere volontariamente queste strade, ma spesso purtroppo capita che i creditori finiscano per acquisire lo stesso gli unici beni nella disponibilità del debitore.
Eliseo Zanzarelli