Una lettera. La mano sul foglio guidata dalla disperazione, le parole dettate da un’angoscia che ha preso il sopravvento su tutto, sulla speranza, sulla voglia di vivere, sull’amore incondizionato per la propria famiglia. Una corda legata alle scale del suo garage, dove nessuno avrebbe potuto vederlo e fermarlo, e quel salto nel nulla. Sono gli ultimi istanti di vita di un 57enne padre di famiglia che ieri, a San Vito dei Normanni, ha scritto la parola fine in calce al diario della sua esistenza. Un’esistenza vissuta a morsi, ingoiando bocconi amari uno dopo l’altro, fino a perdere la capacità di sognare che, in fondo, prima o poi, le cose sarebbero migliorate. Per anni, assieme a sua moglie, dividendosi fra casa e lavoro, era riuscito a prendersi cura del figlio disabile, accettando quel destino che la natura aveva cinicamente stabilito per il suo ragazzo.
In due, riuscivano a farcela. Poi si è ammalata anche lei. E il peso sulle spalle dell’uomo si è drammaticamente raddoppiato. A lungo è riuscito a sopportare l’immenso fardello, a non piegare le ginocchia, a guardare in avanti. Poi, ieri, quel black out. Dinnanzi a lui solo un muro, nebbia, nient’altro che sofferenza. Una prospettiva che gli ha tolto ogni forza, ogni afflato. Fino a dire basta. Prima di congedarsi ha chiesto scusa. Ha implorato perdono per aver deciso di scappare via per sempre, lasciando moglie e figlio da soli, in balia del loro destino. Ma in quelle righe c’era anche una richiesta di comprensione, di una qualche assoluzione morale.
Il suo corpo, appeso a una corda, è stato trovato dal genero quando ormai non c’era più nulla da fare. Del suo ragazzo si stanno ora occupando i servizi sociali. Ci sarà un immenso lavoro da fare. Lui aspetta ancora suo papà, aspetta che torni, come è sempre tornato, senza mai mancare ai suoi doveri, senza mai far mancare il suo amore.