“Come quando agli indiani uccisero i bufali: questo significa per noi perdere i nostri ulivi secolari e, si badi bene, non è una questione principalmente economica”. Sono parole dure, quasi sconfortate, quelle scelte dall’avvocato Guido Pesce, di Oria, comproprietario insieme con suo fratello di un fondo nell’epicentro del focolaio della Xylella in contrada Frascata. Lì anche oggi gli agenti della Forestale sono stati dalle prime ore del mattino fino al pomeriggio per campionare e segnare, con la ormai famigerata “X” di colore rosso, gli alberi infetti destinati alla soppressione.
I risultati delle analisi saranno pronti in 48 ore, sebbene il campionamento non sia ancora del tutto terminato e potrebbe richiedere altre 24-48 ore. Un campionamento certosino e quasi chirurgico, quello messo in atto dai forestali e dagli ispettori della Regione, esecutori materiali del piano emergenziale predisposto dal commissario Giuseppe Silletti e approvato nei giorni scorsi dal Dipartimento nazionale di protezione civile. L’Europa chiede espressamente di eradicare tutte le piante contaminate e di relegare quindi il problema al Sud Salento: per questo si comincia da Oria.
I primi “assassinii” avverranno quando le operazioni propedeutiche, in corso questi giorni, saranno terminate, ma i funzionari regionali fanno sapere che per il momento stanno salvando il salvabile, cioè tutte le piante sane, anche se esse si trovano accanto a quelle ammalate nell’area di circa dieci ettari sotto stretta, strettissima e ormai quotidiana osservazione.
La patologia c’è e non si può nascondere, ma se le istituzioni hanno disposto il taglio netto e poi la rimozione degli ulivi con annesse le radici, diversi tra politici, artisti e soprattutto esperti del settore si sono dichiarati nelle ultime ore contrari a questa barbarie dei tempi moderni: esisterebbero, dicono, prodotti fitosanitari in grado di debellare il batterio-killer e in Rete circolano già le prime immagini e i primi video di guarigioni che, stando almeno alle indicazioni dei piani alti, avrebbero del prodigioso.
Il dado sembra però tratto e difficilmente si tornerà indietro: quella sorta di enclave infetta al confine tra il contado di Oria e quello di Francavilla Fontana dovrebbe in tempi brevi – si parla di giorni – diventare quasi un deserto, depredata di ogni albero-monumento che attraverso i secoli ha dato lavoro e affetto a generazioni e generazioni.
Sì, perché la questione non è soltanto economica, ma anche affettiva: quegli ulivi sono simboli per il paesaggio e per le famiglie che, di padre e madre in figli, li hanno finora curati amorevolmente come soltanto con in più profondi affetti di sangue si suole fare.
Quegli alberi hanno attraversato il tempo e le innumerevoli problematiche che li hanno colpiti, eppure ne sono sempre usciti a chioma alta. La domanda allora sorge spontanea: possibile che nei secoli dei secoli nessun altro agente patogeno abbia reso necessarie misure così drastiche?
Questo si chiedono i proprietari dei fondi, ai quali non va proprio giù – e come potrebbe? – di dover rinunciare da un giorno all’altro a cotanto patrimonio economico e affettivo.
Non si sa peraltro ancora nulla di eventuali indennizzi e unica consolazione, se così la si può definire, è per adesso la facoltà concessa loro di fare commercio della legna post-taglio. E qui sorge un altro problema: a quale prezzo, se inevitabilmente il prezzo scenderà essendoci per i grossisti così tanta legna disponibile nei paraggi? E poi: chi proteggerà dalle prevedibilissime razzie notturne tutta quella legna che inevitabilmente giacerà nei fondi?
Intanto, il piano d’intervento prevede lo stanziamento di quasi 14 milioni di euro prelevati in gran parte dal fondo per le emergenze di protezione civile. Soldi pubblici per i quali è appena il caso di domandarsi: saranno davvero ben spesi?