Francavilla, l’ex sindaco e anestesista: «Noi avremmo ucciso quel paziente? No, gli abbiamo allungato la vita, ecco come e perché»

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Sull’articolo pubblicato stamattina riguardo il procedimento, aperto dalla Procura di Bologna, a carico di cinque medici dell’ospedale “Dario Camberlingo” di Francavilla Fontana, accusati di omicidio colposo, il primario del reparto di Anestesia e rianimazione Vincenzo della Corte – una delle persone sottoposte a indagine – tiene a dire come la condotta professionale tenuta sia da lui che dall’altra anestesista, dottoressa Cosmiana Galizia, si stato in quell’occasione ineccepibile: «Noi avremmo ucciso quel paziente? Macché, noi al massimo l’abbiamo tenuto in vita fino al trasferimento nel reparto di Terapia intensiva a Lecce».

E il tubicino dimenticato nell’addome? «Io posso dire che per quanto riguarda il mio reparto, nessuna responsabilità può essere addossata agli anestesisti in quanto il nostro intervento non è in alcun modo invasivo, ci siamo limitati a riportare a livelli accettabili i parametri vitali del paziente, giunto in sala operatoria in condizioni disperate direttamente dal pronto soccorso, per consentirne l’immediato trasferimento a Lecce. Il tubicino di drenaggio – spiega – è una precisa tecnica chirurgica che serve per tenere sollevata l’ansa intestinale: quel tubicino, che viene posizionato sotto la cute, non va rimosso appena dopo l’intervento, ma successivamente».

«Inoltre – aggiunge della Corte – siccome il caso è già stato oggetto d’indagine interna e di attenzione anche da parte della Procura di Brindisi, che ha presumibilmente optato per l’archiviazione, dalle Tac successive all’operazione, non emerge la presenza di quel tubicino, che forse è sprofondato nell’addome in un secondo momento: insomma, quel tubicino andava rimosso non a Francavilla Fontana, ma a Lecce, dove il paziente è stato trasferito in Terapia intensiva, a due-tre settimane dall’operazione stessa».

L’ex sindaco di Francavilla, oggi direttore del reparto di Anestesia e rianimazione del Camberlingo, si dichiara più che tranquillo sulla questione: «Sono sereno in quanto il sottoscritto e la dottoressa Galizia hanno fatto tutto il possibile e addirittura hanno ottenuto il risultato eccezionale di tenere in vita un paziente le cui condizioni erano davvero gravissime, tanto da renderne possibile lo spostamento nella struttura più attrezzata di Lecce».

Le responsabilità maggiori, insomma, riguarderebbero i medici di Chirurgia generale, anche se anch’essi per della Corte hanno tenuto un comportamento professionalmente non censurabile in alcun modo: «L’intera faccenda – conclude – è stata già trattata e approfondita a suo tempo, quindi non credo ci saranno problemi a chiarirla ancora una volta nelle sedi opportune».

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