Per trent’anni ha fatto un po’ di tutto, anche l’infermiere. Il problema è che in quei trent’anni avrebbe dovuto fare soltanto l’infermiere perché quello – e solo quello – era ed è il suo lavoro. E, invece, si è ritrovato a fare da operatore socio-sanitario, portantino, persino necroforo. Ha viaggiato sulle autoambulanze del servizio 118 lasciando il pronto soccorso dell’ospedale “Dario Camberlingo”, dove avrebbe dovuto esclusivamente prestare servizio, per dare supporto nei casi di emergenza – urgenza come per esempio in caso d’incidenti.
Dopo tre decenni, il professionista della sanità non ce l’ha fatta più di correre da un reparto all’altro, di fungere da ausiliario e di tappare i buchi lasciati scoperti da altre figure. E, allora, un infermiere francavillese ha deciso di rivolgersi al sindacato e di instaurare una vertenza nei confronti del suo datore di lavoro, e cioè l’Asl di Brindisi, per il tramite del sindacato cui è iscritto: Cgil Sanità.
Non si è giunti a un contenzioso vero e proprio, ma ci si è fermati alla fase di conciliazione dinanzi al giudice del lavoro. Ed è stato lo stesso giudice ad aver considerato le diverse posizioni e ad aver indicato una possibile via d’uscita. Il lavoratore è stato rappresentato dall’Ufficio legale del sindacato, nella persona dell’avvocata Tonia D’Oronzo, che ha rappresentato il demansionamento del suo assistito.
Un impiego per mansioni inferiori a quelle da contratto che il giudice ha colto e l’Asl, in fin dei conti, ha riconosciuto: al promotore dell’iniziativa legale sarà riconosciuto un risarcimento – presumibilmente nell’ordine delle migliaia di euro – nella misura del dieci per cento annuo per gli ultimi dieci anni in cii ha ricoperto mansioni inferiori rispetto a quelle indicate nel Contratto collettivo nazionale di lavoro.
L’importo non è ancora noto, ma prossimamente l’infermiere sarà convocato negli uffici della Direzione generale per accettare e firmare ufficialmente l’accordo transattivo. Una situazione, la sua, che riguarda in realtà diversi altri colleghi del comparto infermieristico, tant’è che Cgil ha promosso una sorta di class action cui possono aderire altri soggetti interessati (e altrettanto, se volessero, potrebbero fare le altre organizzazioni sindacali).
“Non è tanto e non è solo l’aspetto economico – dichiara l’infermiere in questione, ormai storico al ‘Camberlingo’ di Francavilla Fontana – ma anche e soprattutto la questione di principio: se io mi sono specializzato per fare l’infermiere e mi hanno destinato in un determinato reparto, perché finora ho dovuto fare un po’ di tutto, compreso cambiare pannoloni e pappagalli ai pazienti sol perché non vi erano altre risorse umane disponibili, soprattutto nei turni di notte? Vi posso assicurare che è alquanto stressante e fisicamente probante – continua – percorrere l’ospedale in lungo e in largo per dieci ore al giorno seguendo il paziente dal momento del suo accesso al pronto soccorso fino al momento delle sue dimissioni o del suo ricovero. Per non parlare – aggiunge – di quanto io e altri colleghi abbiamo dovuto trasportare le salme in camera mortuaria o dare supporto ai medici sui mezzi del 118, magari lasciando scoperti pazienti cardiopatici nel pronto soccorso”.
Ha sopportato per anni, ma a un certo punto non ha retto più e ha pensato di essere stato non soltanto sfruttato ma anche demansionato: perché un conto è fare l’infermiere, un altro occuparsi di altri lavori ugualmente dignitosi ma che, appunto, prevedono mansioni diverse.
“Ho ritenuto opportuno muovermi – conclude l’infermiere – di modo che anche chi si trovi nelle mie stesse condizioni possa fare altrettanto perché qui si parla di diritti e dignità dei lavoratori: non si può essere assunti per fare gli infermieri ed essere impiegati come jolly tuttofare. Per questo mi preme ringraziare il sindacato e il suo ufficio legale per aver compreso la situazione e aver curato i miei interessi”.
La controversia sorse esattamente un anno fa e sarebbe potuta andare avanti, ma le parti hanno deciso di andarsi incontro per evitare ulteriori spese e screzi che avrebbero potuto nuocere alla serenità del singolo lavoratore e della stessa Azienda sanitaria.