Oritano ucciso a martellate a Torino, condannato presunto omicida: corpo fu trovato in scantinato

Condanna in abbreviato a 20 anni di reclusione per il Nino Capaldo, 58enne del Napoletano, per l’omicidio a colpi di martello del coetaneo di Oria Massimo Lodeserto. Il delitto fu commesso – secondo i giudici da Capaldo, ritenuto contiguo alla Camorra – il 30 agosto 2023 a Torino. Il corpo di Lodeserto, inizialmente dato per disperso, fu ritrovato il 4 dicembre di quell’anno nella cantina di un condominio di palazzine popolari proprio nella periferia del capoluogo piemontese.

Capaldo, originario di Frattamaggiore (Napoli) peraltro già noto alle forze dell’ordine e condannato anche per mafia (clan Gagliardi – Fragnoli), in quel periodo si trovava a Torino poiché inserito in un programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia. In precedenza, infatti, era stato condannato a 15 anni di carcere per aver ucciso a Mondragone (Caserta) un uomo, presunto corriere della droga: dopo l’uccisione dello stesso, secondo le risultanze investigative e giudiziarie, Capaldo si sarebbe sbarazzato del suo corpo dandogli fuoco.

Per quanto concerne la more di Lodeserto, invece, è emerso a processo come la stessa sia avvenuta in ambienti criminali. Il 58enne oritano avrebbe contratto un debito da circa 100mila euro e poi litigato con lo stesso Capaldo, che a quanto pare continuava a essere operativo nel mondo della mala. Siccome Lodeserto non soltanto non restituì quei soldi, ma litigò con lo stesso suoi creditore, quest’ultimo pensò bene – si fa per dire – di sistemarlo a colpi di martello: almeno dieci di essi raggiunsero l’uomo originario del Brindisino tra volto e addome. Per la vittima, che non ebbe modo di difendersi, non ci fu scampo: troppo gravi le ferite riportate, tanto da averne causato il decesso.

Quel 30 agosto di due anni fa, il suo corpo scomparve semplicemente nel nulla. Nessuno per giorni – e poi per mesi – aveva più notizie di Lodeserto. I familiari sporsero così denuncia ai carabinieri, che cominciarono a cercarlo un po’ ovunque. Che si fosse allontanato volontariamente, avendolo tranquillamente potuto farlo, fu una delle ipotesi degli investigatori.

Ma dove si era andato a cacciare? Le ricerche non comunque non terminarono, così come fino all’ultimo non si esaurì la speranza di ritrovarlo vivo anche a chilometri di distanza. E, invece, non fu così: non soltanto il 58enne non era lontano, ma soprattutto non era più in vita. Dopo più di tre mesi dalla denuncia di scomparsa, i cani molecolari dei carabinieri fiutarono qualcosa di sospetto nello scantinato di quelle case popolari.

Il corpo di Lodeserto, avvolto in coperte e sacchi in plastica, giaceva esanime tra attrezzi da lavoro, condizionatori dismessi e persino sacconi neri di quelli per la spazzatura. Nessuno fino ad allora si era accorto della presenza di un cadavere, anche per il fatto che lo stesso era stato nascosto in un locale già maleodorante di suo per via della presenza di muffa e rifiuti. In realtà, forse tra le ambizioni di chi là ce l’aveva nascosto vi era quella che magari un giorno sarebbe stato portato via proprio da un camion della nettezza urbana.

Dal ritrovamento della salma, scaturirono le indagini – con le telecamere che immortalarono Capaldo – e infine il processo. In abbreviato, quindi con uno sconto di pena pari a un terzo, il 58enne del Napoletano è stato condannato a 20 anni. Ai fratelli di Lodeserto, costituitisi parti civili, il gup del Tribunale di Torino ha già riconosciuto una provvisionale pari a 40mila euro ciascuno. Il resto del danno andrà quantificato in separata sede. Intanto, Capaldo, che si presume innocente fino al terzo grado di giudizio, potrà impugnare la sentenza del Tribunale.


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