“Sedici ore di attesa al pronto soccorso, non so se sia una cosa normale”. Lo dice il marito di una donna 58enne di Latiano che nei giorni scorsi è giunta in pronto soccorso all’ospedale “Antonio Perrino” di Brindisi quando proprio non ce la faceva più neppure a stare in piedi: il suo livello di emoglobina era talmente basso da aver richiesto – si è scoperto poi – non una ma addirittura tre trasfusioni l’una dopo l’altra.
“Non mi va di parlare di un caso specifico di malasanità – dichiara il marito della paziente – ma di un caso di possibile malasanità generalizzata e indipendente dall’operato dei singoli medici e infermieri che ci hanno assistito”.
Intanto, però, del caso in questione è stato interessato l’avvocato Gabriele Caforio, del Foro di Brindisi, che sta valutando come comportarsi e quali eventuali azioni intraprendere più che altro per smuovere le coscienze e indurre Regione e Direzione sanitaria a tamponare situazioni al limite della decenza. “La situazione dei miei assistiti è documentabile e anzi documentata”, dichiara pacatamente il legale.
“I due medici in servizio e il personale a loro supporto pensiamo abbiano fatto ciò che potevano – dice la paziente, fortunatamente ripresasi – ma sinceramente io trovo inaccettabile che in un Paese come il nostro una persona debba aspettare così tante ore per ricevere non una, non due, ma ben tre trasfusioni: quelle di cui io necessitavo, avendo il livello di emoglobina ben sotto il livello di guardia e cioè a 4.9”. Una situazione al limite del collasso che solo per poco non si è tramutata in un collasso.
“Mia moglie ha bisogno di questo tipo di ausili esterni che purtroppo non possono esserle somministrati al di fuori dell’ambiente ospedaliero – dichiara suo marito – e dunque di tanto in tanto dobbiamo necessariamente recarci in ospedale perché lei necessita di trasfusioni, altrimenti neanche si regge in piedi”. E quindi è necessario recarsi in pronto soccorso e fare la trafila, cosa che puntualmente i coniugi fanno.
“Mai come in questo caso, però, ci siamo trovati in affanno, tanto da aver dovuto avvisare persino il nostro avvocato affinché magari in futuro altra gente possa non trovarsi nelle nostre stesse condizioni”. E lo stesso legale ammette come qui non ci sia un principio di polemica o l’intenzione di specularci:
“Semplicemente, mi è stato chiesto se ci sia un modo, anche a prescindere da azioni legali, che pure si potrebbero intraprendere nell’interesse di ciascuno, a ché la gente non debba attendere e soffrire più di tanto per ottenere ciò di cui necessita”.
Sedici ore per una persona che rischia di collassare sono tante, troppe. Le ore di attesa sono tante anche per tutti coloro i quali, una settimana fa, erano in fila al pronto soccorso del “Perrino” finanche per altre emergenze. “Non credo sia possibile – commenta il marito della donna – aspettare per un’intera giornata di ricevere tre sacche vitali di sangue, così come non credo sia possibile poterle ricevere soltanto in ospedale: delle due l’una, o si dà la possibilità di trasfondere anche altrove o si dà precedenza alle trasfusioni in ospedale, sennò nulla ha senso”.
Intanto, il legale della coppia – interessato del caso – valuta se e, nel caso, come muoversi. Perché, alla fine, nella situazione deficitaria in cui operano, non si possono additare medici e infermieri quali responsabili. Il problema è più generale, ma comunque andrebbe risolto. “La situazione particolare è grave e molto preoccupante, ma non è l’unica – dichiara l’avvocato Caforio – quindi siamo di fronte a un problema della sanità in generale, perché i pochi operatori non possono fare miracoli e, a parte esporre il disservizio generalizzato, come da indicazione degli stessi miei assistiti, granché altro non si può fare. In ogni caso, siamo di fronte a una situazione allarmante che non può essere sottaciuta”.