Madonnaro morto a Lecce, processo d’appello da rifare: non scippo ma rapina, non morte consequenziale ma omicidio preterintenzionale

Quel processo è da rifare. L’imputato non va giudicato per scippo e per morte come conseguenza di altro reato, ma per rapina e omicidio preterintenzionale. L’ha deciso la Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso proposto dalla Procura presso la Corte d’Appello di Lecce.

Mamadou Lamin, 32enne di nazionalità senegalese, era stato condannato in secondo grado a sei anni – con riduzione di pena rispetto al primo grado – per aver procurato la morte del 69enne “madonnaro” Leonardo Vitale, originario di Oria ma noto in più parti della regione per via della sua arte sempre più rara. Vitale morì a Lecce l’11 ottobre 2021. Sei giorni prima, era stato aggredito da Lamin che – non lontano da una rivendita di kebab tra via Liborio Romano e via Oronzo Quarta – s’impossessò del suo trolley e dei suoi 37 euro per poi fuggire in bici. Vitale cadde, batté la testa e finì in ospedale al “Fazzi” del capoluogo salentino, dove poi trovò la morte.

In primo grado, Lamin era stato condannato a nove anni di reclusione ma poi la pena gli fu ridotta in appello proprio grazie alla riqualificazione dei reati contestatigli. Il procuratore generale Antonio Maruccia impugnò la sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello il 16 novembre 2023 (con deposito della motivazione il 29 gennaio 2024). La parte civile, cioè il figlio di Vitale, Giuseppe, si era costituita a giudizio con l’avvocato Raffaele Pesce. La corte aveva stabilito in suo favore un risarcimento danni pari a 290mila euro. La parte civile non può impugnare la sentenza nel merito dei reati contestati, ma soltanto relativamente a quanto riconosciutole. Ci ha pensato la Procura generale, però, a pretendere una riforma della stessa nella parte più squisitamente penale. La Suprema Corte ha accolto i motivi addotti dal procuratore generale e accordato un annullamento della sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello ma stavolta nella sua sede distaccata di Taranto. Il nuovo processo dovrà tenere conto delle nuove imputazioni (che poi sono le iniziali) formulate a carico di Lamin.

Secondo lo stesso magistrato inquirente, la violenza del 32enne senza fissa dimora non fu esercitata soltanto sulle cose (furto con strappo, scippo) ma anche e soprattutto sulla persona di Vitale (rapina) “trascinandola per diversi metri (…) e strattonandola ripetutamente con forza, facendola cadere per terra priva di sensi”. Chiari i riferimenti, nel ricorso, ai segni lasciati sul corpo del “madonnaro” dal suo aggressore: due traumi, due colpi al viso (un’unghiatura sul labbro e un ematoma sullo zigomo sinistro). È stata argomentata e condivisa anche l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale (oltre l’intenzione): non voluto, ma provocato dalla condotta violenta e reiterata da parte dell’autore della presunta rapina. “Un’aggressione intensa, violenta e insistita che ha riguardato la cosa e che, con certezza, si è estesa volontariamente alla persona per superarne la resistenza (…) risultando prevedibile la caduta a terra della vittima e accettato il rischio delle conseguenti lesioni, poi trasmodate, oltre la volontà, nella morte”.

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