di Gerardo Trisolino
La duplice scoperta della data e del luogo di nascita di Gerolamo Bax (noto anche come Ciommo Bàchisi nella dizione dialettale) è di straordinaria importanza per la letteratura salentina del Sei-Settecento.
In assenza di notizie certe, finora gli studiosi, tra cui Mario Marti, hanno proceduto per ipotesi. I luoghi più probabili erano stati ritenuti Grottaglie e Faggiano, entrambe in provincia di Taranto, ma nato da genitori francavillesi. Tesi accreditate dai numerosi storici che si sono occupati di Bax (cognome di chiara origine albanese) e del suo capolavoro: la farsa pastorale teatrale “Nniccu Furcedda”, una delle opere più antiche della letteratura dialettale salentina (risalente ai primi lustri del Settecento), insieme a “Viaggio de Leuche” di Geronimo Marciano (noto come “Lu Mommu de Salice”), “La Rassa a Bute” di autore ignoto e “La Iuneide” di Anonimo Leccese.
Più controversa del luogo d’origine è stata invece la data di nascita, finora ipotizzata tra il 1684 e il 1689, con un ampio ventaglio di supposizioni: gli storici Pietro Palumbo, Nicola Argentina e Rosario Jurlaro propendevano rispettivamente per il 1686, il 1684 e il 1689. Quest’ultima data fu accolta anche da Mario Marti, autore della prima edizione critica del “Nniccu”, affidata al volume “Letteratura Dialettale Salentina. Il Settecento” (Congedo, 1994).
La scoperta, fresca di qualche giorno fa, dell’atto di battesimo rinvenuto da un amico studioso della storia di Faggiano, Nicola Vergine, nell’archivio storico dell’Arcidiocesi di Taranto, pone fine alla querelle: Gerolamo Bax nacque a Faggiano il primo febbraio 1687, figlio legittimo e naturale di Pietro e di Argenzia Soligati. Non solo. Fu registrato con quattro nomi: Geronimo, Francesco, Giacomo, Antonio.
Dai documenti provenienti dallo stesso archivio apprendiamo anche che in giovanissima età aspirava al presbiterato, tanto che l’8 maggio 1694 fu ordinato chierico nella chiesa Collegiata della Madonna della Fontana di Francavilla di Terra d’Otranto (l’odierna Francavilla Fontana), allora retta dall’arciprete don Donato Antonio Casalino. Forse si spiega così il motivo del suo definitivo legame con Francavilla (luogo d’origine dei suoi genitori, secondo l’attendibile storico locale Nicola Argentina) e del suo ingresso nella corte del principe Michele III Imperiali, feudatario mecenate di Francavilla, sotto la cui protezione progredì negli studi. «L’abito talare – scrive l’Argentina – non gl’impedì di coltivare gli studi professionali ai quali sentiva particolare inclinazione e di addottorarsi in medicina nella R. Università di Napoli. Ben presto si appalesò per quello che era: un medico di vaglia». A tal punto che divenne il medico personale del principe, il quale «ammalatosi in Napoli, lo chiamò presso di sé, e se lo tenne sino alla guarigione», destando la gelosia dei medici napoletani di corte che lo perseguitarono e minacciarono a tal punto che Bax decise di ritornarsene a Francavilla.
A Napoli, però, oltre a coltivare gli studi medici frequentò gli ambienti letterari arcadici, tanto da distinguersi anche come poeta di vaglia. Lo dimostra il suo capolavoro teatrale in dialetto francavillese “Nniccu Furcedda”, una rusticana farsa satirica in tre atti, composta ininterrottamente di endecasillabi con rima al mezzo, alla stessa stregua dei gliommeri napoletani. Anche per quest’opera, però, si pongono gli tessi problemi filologici del poema dantesco (si parva licet), non essendoci pervenuto il manoscritto originale (si ricorda, per inciso, che di Dante non conosciamo ancora con precisione la data di nascita, ma solo l’anno).
Per fortuna la commedia di Bax ebbe subito un tale successo da parte del pubblico (fenomeno che a Francavilla continua tuttora grazie alla passione della compagnia popolare dell’ultra ottantenne Carlo Camassa e di suo figlio Giuseppe, che l’hanno ripresentata a teatro qualche settimana fa e la replicheranno l’8 giugno nel cortile della chiesa dei Sette Dolori) da favorire la circolazione di copioni ad uso dei gruppi teatrali locali. Uno di questi copioni pervenne all’insigne storico Pietro Palumbo (Francavilla 1839 – Lecce 1915), autore, tra l’altro, della “Storia di Francavilla” (1869) e della “Storia di Lecce” (1910). E proprio in appendice della “Storia di Francavilla” pubblicò per la prima volta la pièce di Bax, dando così modo ai dialettologi e filologi successivi di meglio comprenderne il grande valore letterario e di approfondirne l’analisi a tutto tondo, con lo scopo di giungere a un’edizione critica che emendasse tutte le criticità e i rimaneggiamenti tramandati da tanti profani soprattutto per via orale. Alla prima edizione di Palumbo (che ne approntò una seconda nel 1912-1914) hanno fatto seguito quella di Roberto Barbaro Forleo nel 1873 (conservata nella Biblioteca Ambrosiana di Milano), quella di Rosario Jurlaro (Olschki, 1964), quella del glottologo Ciro Santoro nel 1985, la messa in scena teatrale di Egidio Pani e Michele Serio nel 1988, la già citata edizione critica di Mario Marti nel 1994 (in cui definisce l’opera «un piccolo capolavoro», evidenziandone la specificità stilistica e metrica e la «coscienza d’arte… con precise e programmatiche scelte di tecnica letteraria»), quella di chi scrive, che segue la lectio filologica di Marti, affidata al volume “Come leggere Nniccu Furcedda” (2010, con traduzione in italiano a fronte) e, infine, quella di Tommaso Urgese nel 2017.
Per quanto concerne la figura del protagonista Nniccu, massaro molto avaro, i modelli letterari seguiti da Bax sono con tutta evidenza l’”Aulularia” di Plauto e l’”Avaro” di Molière. Ma bisogna anche sottolineare che il nostro Bax ha il considerevole merito di aver notevolmente anticipato la riforma teatrale di Goldoni.