È stata scritta ieri l’ennesima ma ultima pagina sulla morte del “madonnaro” di Oria Leonardo Vitale, morte avvenuta a Lecce l’11 ottobre 2021. Il 33enne Mamadou Lamin, di nazionalità senegalese ma senza fissa dimora, è stato condannato a sei anni, nove mesi e dieci giorni di reclusione.

Dopo l’espressa richiesta della Corte di cassazione a seguito dell’impugnazione da parte della Procura generale presso la Corte d’appello di Lecce, i reati sono stati riqualificati: non più furto con strappo (scippo) e morte come conseguenza di altro reato (lo scippo) bensì rapina e omicidio preterintenzionale. Così ha deciso ieri la Corte d’assise d’appello di Taranto, che ha validato la pena concordata all’insù – rispetto al secondo grado – tra la difesa di Lamin (avvocato Alessandro Stomeo del Foro di Lecce) e la stessa Procura generale senza che in quella fase potesse intervenire la parte civile – Giuseppe Vitale, figlio di Leonardo, costituito con l’avvocato Raffaele Pesce del Foro di Brindisi -.

Ciò ch’è ormai certo è che è stata scritta la parola “fine” su questa triste e tragica vicenda, giacché l’imputato – a seguito di concordato – non potrà più ricorrere per Cassazione. Oltre alla condanna e al netto di quanto già scontato in custodia, Lamin potrà comunque chiedere misure alternative alla detenzione ma dovrà teoricamente sobbarcarsi i danni già riconosciuti alla parte civile e le spese legali. Nel caso d’incapienza, esistono dei fondi statali di garanzia a tutela delle vittime e dei familiari delle vittime di violenza: di qui, anche, l’importanza dell’ormai definitiva riqualificazione dei reati a suo tempo contestati e, in seguito, oggetto di condanna.

Lamin era stato condannato in secondo grado a sei anni – con riduzione di pena rispetto al primo grado – per aver procurato la morte di Leonardo Vitale, originario di Oria ma noto in più parti della regione per via della sua arte sempre più rara. Vitale morì a Lecce l’11 ottobre 2021. Sei giorni prima, era stato aggredito da Lamin che – non lontano da una rivendita di kebab tra via Liborio Romano e via Oronzo Quarta – s’impossessò del suo trolley e dei suoi 37 euro per poi fuggire in bici. Vitale cadde, batté la testa e finì in ospedale al “Fazzi” del capoluogo salentino, dove poi trovò la morte. In primo grado, Lamin era stato condannato a nove anni di reclusione ma poi la pena gli fu ridotta in appello proprio grazie alla riqualificazione al ribasso dei reati contestatigli.
L’ex procuratore generale Antonio Maruccia impugnò la sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello il 16 novembre 2023 (con deposito della motivazione il 29 gennaio 2024). All’unica parte civile – il figlio Giuseppe Vitale, rappresentato appunto dall’avvocato Pesce – era stato riconosciuto un risarcimento pari a pari a 290mila euro. La parte civile non potè (e non può, per legge) impugnare la sentenza nel merito dei reati contestati, ma soltanto relativamente a quanto riconosciutole.
Ci pensò la Procura generale, però, a pretendere una riforma della stessa nella parte più squisitamente penale. La Suprema corte annullò con rinviò la sentenza d’appello e interessò del caso la sede staccata di Taranto. Di ieri la sentenza che cambia un po’ – e cristallizza per sempre – il corso della storia processuale.