«Femminicidio-spot? Se uccidi una donna, ergastolo; se uccidi un uomo, ok 24 anni. La parità è ambo i lati, stop soprusi anche sui maschi»

di Gianni Cannalire

“Femminicidio” non è più solo la parola usata per indicare la morte violenta di una donna, ma diventa anche”una autonoma fattispecie penale”, ovvero un reato specifico punito con il massimo della pena: l’ergastolo. E’ arrivato dal Consiglio dei Ministri il via libera al disegno di legge per l’introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime, alla vigilia dell’8 marzo, giornata internazionale della donna. La piaga è purtroppo la lunga scia di sangue che nel 2024 conta una donna uccisa ogni tre giorni e nel 2025 ha già 6 vittime. Ben vengano i tanti centri antiviolenza – uno di essi inaugurato proprio in questi giorni ad Erchie – come pure i dibattiti, le giornate di mobilitazione, gli incontri ad hoc nelle scuole.

Quando si parla di violenza si può inciampare, però, come se vittima sia sempre una donna e carnefice sia sempre un uomo. Ci sono anche uomini, al pari delle donne, vittime di violenza logorati dalla situazione tossica nella quale si ritrovano e fortemente minati nella loro autostima.

Annagrazia Angolano, giornalista tarantina (ex direttrice di Antenna Sud) vicina al Movimento 5 Stelle, sul suo profilo parla del “DDL dell’ignoranza”.

«Il Governo – scrive Angolano sul suo profilo social che condivido – vara il disegno di legge sul femminicidio e lo presenta come “una novità dirompente”. Certo, perché dirompente è l’ignoranza dinanzi ai principi costituzionali. L’articolo 3 della Costituzione impone uguaglianza senza distinzione di sesso e voi che fate? Se uccidi una donna la pena è l’ergastolo, se uccidi un uomo solo 24 anni. Siete folli?. Questo è un esempio di becero giustizialismo e di profonda preoccupante incultura sociale. Non è cosi che si previene il femminicidio». Fin qui il punto della collega Angolano.

Una tesi, questa, sostenuta anche dal noto avvocato penalista Pasquale “Franco” Fistetti, secondo il quale “tecnicamente si stabilisce una illegittima differenza di trattamento di casi simili di persone dinanzi alla legge, sancendo da un lato la superiorità femminile rispetto al maschio, dall’altro la differenza di trattamento dell’una rispetto all’altro. Una legge che sfregerebbe la Costituzione in più punti e offenderebbe il buon senso e l’etica umana».

Ed a proposito di  “incultura” e di “inciviltà” si segnala un episodio verificatosi – pare – in un comune della Puglia. Nei giorni scorsi, una donna, pur di difendersi da un fatto messo in evidenza da  un uomo, avrebbe reagito definendo quell’uomo: “rummatu tu e la tua famiglia”. In italiano “rummatu” si traduce con “letame”.

Sentire gridare questa grave ingiuria dalla donna – peraltro, sembrerebbe, non incolta – affacciata sul balcone della propria abitazione non sarebbe stato sinonimo di eleganza a prescindere. Il tutto, ovviamente, nemmeno se quell’ingiuria fosse stata pronunciata da un uomo. Denoterebbe – se fosse accaduto, come riferiscono – una certa incapacità di relazione da parte di chi si veda costretto/a a ricorrere a un linguaggio così scurrile, ben lontano da civiltà e ragionevolezza. La strada è ancora tutta in salita. Ben vengano, dunque, le riflessioni sulla violenza di genere. Parlare e sensibilizzare va sempre bene ad ogni latitudine e qualunque sesso tale argomento interessi. Parità, appunto.

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