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“Quei 43 grammi di hashish erano per uso personale”, assolto 48enne

Il fatto non sussiste. Con questa formula, la Corte d’Appello di Lecce – presidente Antonia Martalò – ha mandato assolto un 48enne di Latiano che a fine gennaio 2020 fu arrestato per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. In particolare, i carabinieri della Stazione di Mesagne lo trovarono in possesso di un panetto di hashish dal peso di 43 grammi, che era nascosto in un mobile nel garage di campagna sua.

L’uomo era già stato condannato in primo grado a tre mesi di reclusione più una multa da 500 euro. La sentenza del Tribunale – impugnata dall’avvocato Cosimo Gabriele Caforio del Foro di Brindisi – è stata però riformata dai giudici di secondo grado, per i quali il fatto – appunto – non sussiste. Il dispositivo è stato pronunciato nei giorni scorsi e i giudici se ne sono riservati 90, di giorni, per depositare la motivazione.

La difesa dell’avvocato Caforio è stata incentrata sul fatto che il suo assistito fosse incensurato e sul consumo personale della sostanza. Circostanza, questa del consumo personale, che il diretto interessato aveva fatto presente agli investigatori nell’immediatezza della perquisizione. Semplicemente – dichiarò – teneva nascosto quel quantitativo di “fumo” nel box per farsi scoprire da moglie e figli mentre, di tanto in tanto, si faceva uno spinello per rilassarsi in solitudine.

Nella sentenza di primo grado fu scritto che non era stata provata la tossicodipendenza dell’imputato, ma in effetti il diretto interessato non si è mai dichiarato tossicodipendente sebbene – questo lo ammise – ogni tanto gli piacesse fumarsi una “canna”. Il difensore ha poi puntato su circostanze inequivocabili, evidentemente tenute in considerazione dalla Corte, circa l’impossibilità di definire il suo assistito uno spacciatore: intanto, il panetto era stato trovato integro e non confezionato in dosi, segno che al massimo il suo detentore ne frazionava un pezzo all’occorrenza per consumo personale; poi, nell’immobile non fu rinvenuto – nonostante le ricerche approfondite – il cosiddetto kit dello spacciatore, ossia materiale utile per dosaggio e confezionamento della droga.

Né bilancini di precisione né, tantomeno, cellophane, bustine in plastica e simili. Nessuna evidenza emerse, inoltre, dai contatti dell’uomo, che non era inserito in alcun giro di spaccio. Soprattutto, nella sua disponibilità non furono trovati quantitativi di denaro che potessero essere considerati provento dell’attività da pusher. L’avvocato Caforio ne aveva quindi chiesto l’assoluzione piena e, in subordine, per particolare tenuità del fatto. I giudici gli hanno dato ragione con la più ampia formula, a prescindere dal ragionamento da loro seguito in fatto e in diritto – motivi non ancora depositati – per emettere il verdetto assolutorio.

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