Fu arrestato e condannato per maltrattamenti in famiglia, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale, ma a processo cercò di scaricare ogni colpa sui familiari e sui carabinieri; questi ultimi, per averlo picchiato e persino derubato dopo aver costretto compagna e figliastra a sporgere denuncia contro di lui. Disse che la vera vittima dei maltrattamenti fosse lui, e che la sua compagna fosse stata in precedenza picchiata dall’ex compagno e che la figlia di lei fosse a sua volta picchiata dal marito. Insomma, disse tutta una serie di cose.
La gup del Tribunale di Brindisi non le ha, però, ritenute veritiere e ha condannato un 59enne di Francavilla Fontana a due anni di reclusione – oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni – per calunnia nei confronti di sei militari dell’Arma e del genero (marito della figliastra) quest’ultimo costituitosi parte civile a processo con l’avvocato Angelo Di Mitri.
Tutto cominciò il 24 luglio 2017, a sera. Un uomo chiamò i carabinieri in quanto era stato cacciato di casa, per l’ennesima volta, dalla sua compagna. I carabinieri giunsero sul posto, che già conoscevano per esservi stati in altre occasioni, ed effettivamente lo trovarono – ebbro e agitato, si legge a verbale – fuori dall’uscio. Le donne all’interno dell’abitazione accolsero i militari ancora impaurite e dichiararono di aver sbattuto fuori il congiunto perché egli aveva tenuto condotte violente nei loro riguardi e infatti presentavano i segni di possibili violenze subite.
E infatti fu chiamata un’autoambulanza per soccorrere mamma e figlia. In quel frangente, il compagno e patrigno violento si allontanò mentre le due donne sarebbero state caricate su di un’autoambulanza per essere trasportate in ospedale. I carabinieri lo raggiunsero per portarlo in caserma, ma nulla. Quello cominciò a inveire contro i militari opponendo resistenza, sferrando calci pugni e testate per divincolarsi. Bloccato, continuò a dimenarsi anche nell’auto di servizio della pattuglia, cui riferì di sentirsi male. Lo accompagnarono quindi al pronto soccorso, dove rifiutò ogni prestazione sanitaria e si limitò ad acconsentire a una misurazione della pressione arteriosa.
Poi disse si star bene e finalmente fu condotto in caserma, dove si procedette alle formalità per l’arresto e al successivo trasferimento in carcere con le accuse di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale.
Nel corso del processo a suo carico – fu condannato il 2 ottobre 2019 – cercò di addossare ogni responsabilità altrove. Non era stato lui ad aver picchiato compagna e figliastra, ma l’ex compagno della prima e il marito della seconda. Inoltre – a suo dire – i carabinieri avevano indotto le due a denunciarlo e l’avevano anche riempito di botte.
Gli elementi di prova raccolti a processo, compresi alcuni video, hanno dimostrato l’esatto contrario rispetto a quanto dichiarato dall’imputato, che avrebbe dunque accusato altri pur sapendoli innocenti. Si è configurato quindi il reato di calunnia, con una condanna ulteriore (a due anni di reclusione) che si somma a quella riportata dal 59enne per maltrattamenti, lesioni e resistenza. Dovrà anche risarcire il marito della figlia.