Caduta in strada e maxi condanna per il Comune ma la sentenza era un maldestro “copincolla”: tutto ribaltato in appello, ora ente chiede i soldi

Il Comune di Oria era stato condannato a risarcire i danni per una caduta in strada, ma la sentenza di primo grado è risultata posticcia o, per meglio dire, frutto di un copincolla con riferimento a fatti, circostanze e presupposti che c’entravano poco o nulla con la causa in questione. Persino il nome dell’avvocato del Comune era sbagliato.

I fatti sono risalenti nel tempo. Il 27 settembre 2012, a sera, una donna riportò lesioni personali – così sostenne nell’atto di citazione del 14 aprile 2013 – dopo essere incappata in un notevole dislivello del manto stradale in corrispondenza del civico 12 di via Parini. Sostenne di non aver potuto evitare la caduta anche perché vi era scarsa illuminazione pubblica. Di qui, un’ipotizzata doppia responsabilità per il Comune: presenza della buca, assenza di luce. E, soprattutto, una richiesta di risarcimento danni per 19.851 euro (per le cure cui si era sottoposta) oltre ovviamente di condanna alle spese.

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Il Comune, a giudizio, sostenne col suo legale di essere del tutto estraneo ai fatti e chiese il rigetto delle pretese della parte attrice. Nel 2020, però, il giudice civile accolse in buona parte le richieste della donna e del suo avvocato, condannando l’ente a risarcire 13.748 euro a titolo di danno non patrimoniale oltre interessi e spese di lite. Cifra niente male per una semplice caduta.

Nel leggere le motivazioni della sentenza, però, il legale del Comune si accorse di come qualcosa non quadrasse: quella sentenza altro non era che un maldestro copincolla di un altro provvedimento. Difatti, emerse “un totale travisamento della fattispecie dedotta in lite (parametrata a criteri astratti e non attinenti al caso di specie), delle vicende del giudizio (nel quali si sostiene ci sarebbe stata una fantasmatica chiamata in causa di una agenzia di assicurazione), del nome del Ctu e persino del nome del difensore dell’Ente”.

Così, il Comune propose appello richiamando la comparsa conclusionale – ritenuta valida – del primo grado di giudizio contestando l’errata valutazione del materiale probatorio. Lo scorso anno, la Corte d’Appello ha accolto in toto le contestazioni dell’ente e riformato la sentenza del primo giudice. La donna che, anni fa, avviò il contenzioso è stata condannata a pagare le spese di lite dei due gradi di giudizio e delle due consulenze tecniche d’ufficio, per un totale di circa 9mila euro.

Ora, quindi, lo stesso Comune è passato all’incasso e ha nominato per il recupero del credito – non ancora saldato dalla debitrice – l’avvocato Francesco Carone, lo stesso che ha proposto e vinto l’appello dopo la scoperta dell’incredibile copincolla nella sentenza di primo grado.

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