Si parla sempre più spesso di ridurre a 30 chilometri orari, anziché 50, il limite di velocità nei centri abitati. Se ne parla a livello nazionale, con grandi città che l’hanno già introdotto almeno in alcune aree urbane, ma in provincia di Brindisi se ne discute e non da ora anche a Francavilla Fontana. L’assessore Sergio Tatarano, con delega alla Mobilità sostenibile, ne è un grande sostenitore sin dall’esperienza amministrativa nella prima Giunta del sindaco Antonello Denuzzo. Per Tatarano, che ama non usare l’auto se non per stretta necessità e si sposta molto spesso a piedi o in bici, “Città 30” rappresenta più di una possibilità e anzi proprio un’opportunità. Le ragioni sottese a questa misura, che genera contrapposizioni, sono improntate soprattutto a una parola chiave: per l’appunto, sostenibilità.
Dichiara Tatarano:
Francavilla ha ospitato qualche mese fa l’ennesimo convegno sull’argomento con relatori di livello nazionale: dal convegno sono emerse le preoccupanti prospettive di riforma del codice della strada, con un’impostazione che risulta essere in chiara controtendenza rispetto agli impulsi alla mobilità degli ultimi anni. Peraltro le recenti sortite del ministro Salvini sembrano dettate da un intento discriminatorio e punitivo verso chiunque si sforzi di non andare in auto. L’esatto contrario di ciò di cui avremmo bisogno.
Dall’altra parte le amministrazioni locali più virtuose, con cui ci siamo confrontati sempre in quel convegno (Bologna, Lecce e Bari), impegnate a scervellarsi per invertire una tendenza storica di sostanziale abbandono al caos che caratterizza le nostre città.
Nel mezzo, il Comune di Francavilla Fontana sta provando da anni ormai ad elaborare soluzioni che consentano alla cittadinanza di non essere condannata ad usare l’auto: laddove le strade non sono sufficientemente larghe da garantire la separazione della sede tra più utenti, il limite dei 30km/h è al momento l’idea più convincente perché adottata da tempo da Paesi ben più virtuosi del nostro.
L’ingenerosa ironia che oggi si sta scatenando verso Bologna è in realtà indice del grande provincialismo che accompagna le discussioni nostrane perché non tiene conto di ciò che accade nel mondo: dallo scorso anno in Spagna tutte le strade con una sola corsia per senso di marcia hanno il limite di 30; a Bruxelles in due anni si sono ridotti del 20% gli incidenti con un dimezzamento del rumore percepito; in Francia si è avuto un calo del 70% di mortalità nei Comuni in cui il limite è stato introdotto.
Poi c’è il caso di Graz (Austria) dove questa soluzione -che ha ridotto del 50% gli incidenti- ha visto schizzare il gradimento dal 44 iniziale all’80% dopo due anni di sperimentazione: a riprova che come al solito le politiche virtuose hanno bisogno di un tempo di semina e di una visione che non è richiesta alla cittadinanza (che ha diritto di lamentarsi) ma solo a chi amministra (che ha il dovere di assumere decisioni). La responsabilità è tutta nostra, della politica.
Ma città 30 è soprattutto una questione di democrazia. Condividere spazi significa sottrarli al monopolio delle auto ed accettare una convivenza meno conflittuale tra utenti diversi. Come dovremmo favorire l’uso mezzi poco o per nulla inquinanti se il modo più conveniente e apparentemente più sicuro per muoversi è usare l’auto privata?
Nel suo piccolo, anche Francavilla (dove peraltro abbiamo introdotto nel 2023 proprio la delega allo spazio pubblico bene comune) deve recuperare i decenni persi a giustificare l’uso indiscriminato delle auto e lo deve fare studiando, importando le idee più innovative e moderne, quelle che funzionano meglio, adattarle alla propria realtà e soprattutto deve emanciparsi. L’ampliamento di apu e ztl, la realizzazione del percorso ciclopedonale in corso e gli interventi per i disabili vanno già in questa direzione. Le zone 30, previste dal pums su tutta la città, sono un tassello essenziale di questo puzzle. Urban award, premio sviluppo sostenibile e ingresso nella rete comuni ciclabili sono i risultati gratificanti ottenuti in pochi anni, ma non possiamo fermarci.
Soprattutto, non possiamo più trincerarci dietro quello che con una forma di intollerabile e rassegnato razzismo verso noi stessi abbiamo definito “ritardo culturale”: il ritardo, quando c’è, è della politica, troppo ossequiosa ed attenta alle regole del consenso immediato e quindi incapace di invertire una rotta, di attraversare il deserto della critica per il bene di un obiettivo nobile che darà i frutti dopo un po’.
Dobbiamo comprendere che la differenza tra conservatori e riformatori è tutta qui.