Militare della guardia di finanza sedò una rissa e dopo anni finì a processo per falsa testimonianza: prosciolto dal giudice dell’udienza preliminare

Intervenne, anni fa, per sedare una lite sfociata in rissa ma si è ritrovato imputato per falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale e falsa testimonianza. Nei giorni scorsi, il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto ha però prosciolto un militare della guardia di finanza – in servizio nel capoluogo ionico – perché gli elementi raccolti a suo carico dall’accusa non hanno consentito di prevedere una ragionevole ipotesi di sua condanna.

I fatti da cui tutto è nato risalgono al 2015 quando il finanziere si trovò ad assistere a un violento litigio man mano degenerato fino a trasformarsi in una rissa per via del numero dei partecipanti. Questi ultimi, non soltanto a un certo punto smisero di usarsi violenza a vicenda ma proprio grazie alla ricostruzione del finanziere furono anche identificati e processati.

Nel corso di una delle udienze del processo a loro carico, fu chiamato a testimoniare anche il militare, che a distanza di anni dall’accaduto ebbe difficoltà a ricordare tutto e tutti per filo e per segno. La versione dei fatti resa in sede testimoniale, insomma, risultò difforme da quella originaria, cosicché gli atti furono trasmessi alla Procura che formulò a carico del teste, per l’appunto, le imputazioni di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale e di falsa testimonianza.

I “non ricordo”, secondo il pubblico ministero, furono tanti e tali rispetto al passato da poter sostenere la pubblica accusa. Non così per il gup, che ha accolto le tesi difensive sostenute dall’avvocato Cosimo Di Castri del Foro di Brindisi, con studio legale a Francavilla Fontana, il quale ha per l’appunto fatto ampio riferimento al trascorrere del tempo che – com’è normale che sia – può trasformare o addirittura cancellare la precisione dei ricordi.

Secondo il difensore, infatti, nessun’alea di malafede ha contraddistinto il contegno processuale, in qualità di testimone, del suo assistito, la cui carriera risulta peraltro immacolata. “Succede che in questo Paese, pur avendo responsabilmente e dignitosamente compiuto un’azione a difesa del prossimo, ci si trovi dapprima invischiato in un processo penale quale testimone e, per una serie di motivi, in primis la labilità dei ricordi; poi, quale imputato…”, dichiara l’avvocato Di Castri.

L’avvocato Di Castri

“Da quel momento – prosegue il legale – quel militare che da sempre si è contraddistinto per impegno e senso del dovere, si ritrova catapultato in un mondo che non gli appartiene, solo per non essersi voltato da un’altra parte. Si trova cioè a difendersi da imputazioni che, proprio per la loro gravità, specie se mosse nei riguardi di un militare, avrebbero potuto cambiare il futuro di quella persona, sia sul piano professionale, sia sul piano psicologico”.

“Fortunatamente – aggiunge Di Castri – un giudice attento e scrupoloso, dopo un’approfondita camera di consiglio, ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere, avendo ritenuto che gli elementi di prova acquisiti in fase istruttoria non fossero idonei a sostenere l’accusa in giudizio e di ipotizzare una ragionevole previsione di condanna, principio quest’ultimo introdotto dalla riforma Cartabia”.

“In questo caso è andata bene – conclude l’avvocato – ma la morale in tutto ciò è che alcune decisioni giudiziarie errate possono avere un effetto dirompente e devastante sulla psiche del soggetto interessato, al punto che, come ricordato da qualcuno, la difformità delle decisioni giudiziarie non viene quasi mai compresa e accettata daigli addetti ai lavori”.

Eliseo Zanzarelli per Nuovo Quotidiano di Puglia

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