Perché le elezioni nazionali non possono essere raffrontate con quelle locali, che almeno sono vere

di Eliseo Zanzarelli

Ci sono dei candidati che potranno cambiare mille e più casacche nel loro territorio e racimoleranno suppergiù sempre le medesime preferenze. Dipende da cosa fanno nella vita, da quanto siano stati disponibili negli anni e in qualche caso da come abbiano amministrato. Insomma, una serie di fattori – e quelli anzidetti sono soltanto alcuni di essi – che influenzano e determinano il risultato elettorale sul piano locale.

Diverso è il discorso nazionale. In quest’altro caso molto contano i mainstream – come tv, radio, testate nazionali online o cartacee, più o meno di partito, ecc. – i simboli, gli ideali il leaderismo nei partiti e i programmi elettorali di ampio respiro. Pertanto ci si basa, nel decidere cosa fare nelle cabine elettorali, su tutt’altra serie di fattori rispetto a quanto accade nel territorio.

E, allora, passiamo al territorio, qualunque territorio esso sia. In tema di amministrative, sul territorio contano enormemente facce e azioni, politiche e lavorative, oltre che la semplice militanza politica. Per ribadire una banalità, tanto ovvia quanto riscontrabile nella realtà: si vota alla persona e non tanto al partito che quella persona ha “sposato”. Non è casuale che gli stessi politici locali si trovino, a volte, da una parte sul piano nazionale e da tutt’altra sul piano locale.

Per giunta, sul piano nazionale esiste una legge elettorale che concede poco spazio alle differenziazioni: niente voto disgiunto, niente preferenze personali. Bisogna scegliersi un simbolo e premiare uno dei candidati o delle candidate indicati dal simbolo, non dalla base. Ci si affeziona all’idea, meno alle persone che non siano i leader.

Si pensi all’exploit dei 5 Stelle nel 2018 e ci si soffermi anche sul meno enorme trionfo di Fratelli d’Italia di quest’anno: spesso molti degli eletti, nei luoghi in cui sono stati eletti, chi li conosce? Infatti, molti di loro da ogni parte si siano candidati stavolta hanno fatto cilecca nonostante i disperati tentativi di restare in sella o, per meglio dire, in poltrona.

Uno dei tanti motivi per i quali la legge elettorale nazionale – cosiddetto Rosatellum, un fantastico quanto insulso ibrido – andrebbe totalmente rivisitata.

E una delle tante ragioni per le quali le uniche elezioni vere sono ad oggi quelle più strettamente locali, fatta eccezione per le provinciali dove gli eletti si rieleggono tra di loro per la conquista della gloria – fondi non ce ne sono più – sulla base di quozienti per comprendere i quali il commercialista, il politico di lungo corso e il giornalista più bravi, piuttosto che chiunque al mondo, devono inizialmente impegnarsi molto per comprenderli.

E, quindi, si vota per davvero soltanto alle comunali e alle regionali. Qui i candidati devono fare vera campagna elettorale, spendendoci anche, e andarsi a conquistare i voti piazza per piazza. Nel caso delle comunali, casa per casa; nel caso delle regionali anche comune per comune.

Il ragionamento è semplicissimo: se un partito X risulta essere il primo in un comune Y alle politiche, non è detto che poi lo sia alle amministrative neppure se esse si tenessero il giorno dopo le politiche. È un paragone assolutamente improponibile, poi ovvio che ci stia eccome che si gioisca anche enormemente per il risultato ottenuto dal leader, dal suo leader e dal simbolo per i quali si simpatizzi ovvero si sostengano ideologicamente sia qui che lontano da qui.

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