di Eliseo Zanzarelli
No, non sarò breve, ma se vi scoccia potete tranquillamente non leggere.
Quest’anno, come in occasione di pochissime altre edizioni, non ho assistito né al Corteo né al Torneo di Oria. Purtroppo ero fuori per via di un viaggio programmato e il rinvio causa maltempo dei due eventi mi ha impedito di gustarmi quantomeno la sfilata.
E, allora, mi sono arrangiato seguendo dirette fb e post, nonostante la connessione andasse e tornasse perché – si sa – i social non sono la televisione né il Web.
In compenso, diversi amici mi aggiornavano via telefono in tempo reale tra entusiasmo e ovvie – io ritengo: sempre legittime – critiche.
Questo interesse quasi spasmodico nei confronti della settimana clou dell’estate oritana non è comprensibile a chi non l’abbia mai vissuta in prima persona, sulla propria pelle.
Io non ho e non posso avere un rione prediletto: li ho frequentati e vissuti tutti. Coi miei da piccolo abitavo nel San Basilio, ma ero spesso a giocare nel Castello dove avevo parenti; ho fatto parte da adolescente del Gruppo sbandieratori e musici del Rione Lama e infine Judea e poi di nuovo Judea.
Vabbè, era per dire che io – a differenza di altri – non ho dei colori di appartenenza spicciola, simpatizzo per tutti e quattro i rioni e in ciascuno di essi ho amici e conoscenti. Io amo il “rionismo” e quell’identità socio-culturale storica che differenzia i vari piccoli quartieri che compongono una cittadina da poco più o poco meno (stando all’ultimo censimento) 15mila anime, dove ci si conosce tutti e si è spesso tutti amici, eccezion fatta per Oria dove il tasso d’inimicizia doppia la media mondiale (scherzo, ma neanche troppo…).
Io il Corteo e il Torneo li vivo non più tanto come una sfida ma, piuttosto, come uno spettacolo a mio avviso sempre gradevolissimo (a parte gli ultimi due anni di pandemia, il primo in particolare).
Li vivo, ormai, quei giorni, come uno spettacolo pensato a uso e consumo prettamente turistico, genialmente ideato da un nugolo di agitatori culturali – alcuni dei quali ancora in attività, eccome – 15 anni prima che io nascessi, ossia nel 1967. Uno spettacolo turistico che, aggiungo purtroppo, fa ancora molta presa soprattutto sulla gente del posto, intenta giustamente a difendere i propri colori e a sfottere – ci mancherebbe altro – gli avversari.
Mentre ero via, dicevo, ho ricevuto diversi messaggi, foto e video.
Degli amici mi hanno detto: fantastico; degli altri: insomma, mica tanto eccezionale. Ci sta, è il sale della democrazia.
Per qualcuno sono state ottime le scelte dell’uscita del Corteo da piazza Manfredi – tutti concordi sulla suggestività del portone – del Torneo in notturna con tanto di illuminazione e dei nuovi costumi d’epoca filologici.
Questi ultimi, per me, sono fantastici proprio perché si sforzano di ricalcare la storia senza troppo curarsi dell’appariscenza. Ché la storia non è Instagram…
Partiamo, appunto, dalla filologia e dall’illuminazione del campo delle gare. Intanto, non è stato ancora dimostrato che nella storia, perlomeno antecedente 55 anni fa, una manifestazione del genere si sia effettivamente tenuta in quel di Oria né che Federico II sia mai stato presente a queste latitudini. Si sa che, munifico qual era, si sarebbe potuto far costruire un castello o qualsiasi altra cosa ovunque e – non si sa mai nella vita – se lo fece costruire nell’allora foresta oritana.
Detto ciò, nella loro intelligente “ignoranza” (ignoranza nel loro caso inesistente, peraltro) gli ideatori originari del Torneo stabilirono non a caso che lo torneamento dovesse cominciare con la luce naturale e terminare prima che facesse buio. Nel Medioevo non vi erano corrente elettrica, fari e faretti. Insomma, si faceva così, magari dall’alba al tramonto, ma con l’illuminazione del cielo. Stesso discorso per le nuove scenografie e relativi allestimenti: filologici anch’essi?
[Velo pietoso sui veli che ostacolavano la visuale del pubblico non pagante, fortunatamente rimossi last minute grazie a una sorta di provvidenziale ravvedimento operoso].
Quindi, tornando al discorso di cui sopra, delle due l’una: o si vira per davvero verso la filologia per ogni aspetto o si rischia di produrre un guazzabuglio anche agli occhi dei meno esperti (persino tralasciando i particolari sui figuranti “ingelatinati”, con orologi, bracciali in caucciù, chewing-gum e cose così…).
Secondo punto: il turismo. Sarebbe interessante sapere dagli organizzatori quanti turisti – tra stranieri e residenti fuori – abbiano acquistato i ticket per gli eventi di questi giorni o anche solo per assistere al Torneo. Qualcuno si è preso la briga di considerare quest’aspetto, ha registrato gli ingressi oltre all’altezza dei bambini per concedere il biglietto ridotto?
Qual è lo spunto reale del ragionamento assolutamente non polemico? Semplicissimo: se un giorno veramente il cosiddetto Palio di Oria divenisse una serie d’iniziative pensate per i turisti – a beneficio dei quali nacque – ogni singolo oritano sarebbe portato a cedere loro, ai turisti, una quota del proprio tifo, della propria appartenenza, del proprio entusiasmo, del proprio biglietto.
Se per davvero s’intendesse fare ciò, si uscirebbe dalla “paesanità” e ci si addentrerebbe in circuiti ben più seri e persino remunerativi: finanche quei giovanissimi atleti, che si contendono un semplice applauso dopo aver sgobbato tutto l’anno, potrebbero ottenere un riconoscimento economico commisurato alle loro imprese sportive rionali. Inciso: complimenti veri e vivissimi al San Basilio, trionfatore dopo ben 26 anni.
E, allora, incassato il successo locale, perché di successo locale si è trattato, ma pur sempre di successo si parla, ora si passi al Piano B: come migliorare ulteriormente. Dopo tanti “un passo avanti e due indietro” forse è il momento di guardare realmente oltre e sprovincializzarsi, forse è il momento di vendere un prodotto non tanto al vicino di casa ma quantomeno al vicino di paese o di regione. Imperativo sarebbe: spingersi più in là.
I complimenti agli organizzatori sono d’obbligo e non è giusto che loro ci abbiano rimesso tempo e denaro per offrire perlopiù ai compaesani uno spettacolo, degli spettacoli del genere: chi fa e fa tanto, abbastanza bene – come in questo caso – è giusto che non ci rimetta e sia perlomeno rimborsato dei suoi sacrifici.
Bravo quindi il presidente della Pro Loco, ma davvero bravi tutti, nessuno escluso. Ora non bisogna perdere la bussola e non cingersi d’alloro: si può crescere ancora molto, moltissimo. Oria non sia soltanto estate: si pensi a qualcosa per le quattro stagioni, come gli pneumatici.
Un’ultima annotazione: l’Amministrazione comunale ha sicuramente stanziato dei soldi per un bellissimo concerto, slittato a settembre (quello di Francesco Renga), e per altre iniziative. Il Comune finanzia da sempre anche il Corteo – Torneo, e ciò è noto. È noto anche come parte di quei soldi pubblici servano a ingaggiare un imperatore famoso, in questo caso Beppe Convertini.
Cosa sarebbe costato mettere mano al portafogli e, con somme esigue, rendere gratuiti gli spettacoli che – sotto le critiche – sono stati obnubilati dalla coltre di un tendone di quelli con cui normalmente si va a pesca?
Al di là di ogni considerazione personale o comunitaria – ve ne sarebbero tante altre da fare – Oria ha vissuto nei giorni scorsi e continua a vivere il suo periodo straordinario, ossia fuori dalla quotidianità. Peccato che lo faccia principalmente in quei torridi giorni d’agosto, chiusa in sé stessa. Un po’ come un riccio che drizza gli aculei e si raggomitola per proteggersi dall’esterno e sentirsi, forse, più sicura. Il riccio si rilassi: da là fuori potrebbe ricevere solo carezze, nonostante quelle fastidiose spine sul dorso…