Non soltanto fu sorpreso a spacciare, ma neppure in seguito si impegnò a cercare un’occupazione onesta. Così, un giovane di Oria ha perso sia il diritto al sostentamento da parte del padre, sia il diritto alla casa coniugale la cui assegnazione i giudici hanno ritenuto di revocare a sua madre convivente, peraltro implicata in passato in una delle inchieste nelle quali è incappato il figlio.
Il padre del giovane nonché ex marito della donna ha sostenuto questa tesi, accolta sia in secondo che in terzo grado, difeso dall’avvocata Antonella Rizzo dello studio legale Rizzo Sartorio con sede a Latiano.
La decisione è giunta nei giorni scorsi con ordinanza della Corte di Cassazione, ramo civile (sesta sezione). Tempo addietro, i carabinieri arrestarono madre figlio dopo aver trovato, proprio nell’abitazione di cui si è discusso a processo, stupefacenti, bilancino e soldi ritenuti provento dello spaccio. I due furono poi rilasciati, ma la questione in oggetto – relativa al mantenimento e alla casa – è andata avanti a prescindere da quella penale.
In sostanza, il figlio – anche se economicamente indipendente, ma comunque maggiorenne – non deve essere sostentato dal padre dato che «non impiega energie alla ricerca di una onesta attività lavorativa e pertanto la mancanza di autosufficienza a lui imputabile non può gravare sul padre».
L’ex coniuge dell’uomo, che aveva presentato ricorso per il tramite dei suoi legali, sosteneva che l’uomo dovesse ancora accollarsi le spese del figlio in quanto non era ancora intervenuta una sentenza definitiva di condanna.
Nel rigettare il ricorso della donna, gli “ermellini” hanno quindi confermato la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Lecce nel 2020 aveva stabilito che la casa dovesse tornare all’ex marito. Scrivono i giudici supreme l’obbligo di mantenere i figli «non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori». «Ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento – proseguono – dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all’assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere dell’obbligo».
Insomma, il figlio si sarebbe dovuto impegnare di più tanto a non avere problemi con la giustizia quanto, soprattutto, a cercarsi un lavoro diverso da quello dello spaccio. Un principio interessante che è costato anche la perdita anticipata della casa a sua madre, la quale avrebbe potuto goderne – come a suo tempo stabilito dal Tribunale di Brindisi in sede di divorzio – almeno fino a quando il figlio non si fosse reso autosufficiente. Quando i suoi avviarono le pratiche per la separazione, il ragazzo aveva 21 anni.