Colpì con calci e pugni e apostrofò in tutti i modi, preso da un raptus di gelosia, la compagna convivente, che finì anche in ospedale. Nei giorni scorsi, un 33enne di Francavilla Fontana è stato però assolto in abbreviato dal reato di maltrattamenti in famiglia, che la giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Taranto Rita Romano ha ritenuto non configurabile.
Nei confronti dell’uomo, difeso dagli avvocati Carmine Calò e Angelo di Mitri del Foro di Brindisi, non si è proceduto neppure per lesione personale, giacché la persona offesa ha rimesso la querela, presupposto necessario per l’accertamento di quest’altro eventuale delitto.
La denuncia della donna originò da una serie di episodi durante i quali il compagno le avrebbe attribuito epiteti altamente offensivi, come quello di svolgere – si dice – il più antico mestiere del mondo. Inoltre, riferì di essere stata anche picchiata quando si era rifiutata di far controllare il suo telefono e le relative interazioni social e di messaggistica istantanea al gelosissimo convivente. Il periodo sul quale si erano focalizzate le indagini andava dal dicembre del 2018 al 3 luglio 2019, ossia l’intero arco temporale nel quale i due avevano deciso di avviare un tentativo di convivenza sotto lo stesso tetto.
E proprio in quel 3 luglio di quasi tre anni fa accadde ciò che sembrava irreparabile. L’uomo chiese, come sua abitudine di poter dare una sbirciatina allo smartphone della compagna, che però – a differenza che in altre occasioni – si rifiutò di darglielo. Il convivente, inviperito, la strattonò con violenza, la scaraventò sul letto e le inferse calci e pugni. Infine, l’afferrò per il braccio mentre lei cercava di fuggire verso l’uscita di casa. Successivamente, anche grazie all’intervento di una vicina, la donna fu soccorsa e ricorse alle cure ospedaliere, dove le furono refertati un “trauma contusivo arti superiori ed escoriazioni mammella sx, stato d’ansia reattivo”, giudicati guaribili in cinque giorni.
Il responsabile fu dunque denunciato e in seguito finì a processo, con scelta del rito abbreviato: il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a un anno di reclusione, mentre gli avvocati Calò e di Mitri l’assoluzione piena.
La gup, analizzati gli atti del procedimento, è giunta alla conclusione che mancasse la prova della frequenza delle condotte da parte dell’imputato i cui comportamenti – si legge in motivazione della sentenza – “non appaiono sintomatici di una condotta abitualmente vessatoria nei confronti della (…), risultando piuttosto – stando al racconto di quest’ultima – sporadici episodi, ancorché frequenti, scaturiti da momenti di particolare aggressività e nervosismo dell’imputato”. Di qui l’impossibilità di configurazione del reato di maltrattamenti in famiglia e la derubricazione a lesione personale. Nel frattempo, però, la denunciante aveva deciso di rinunciare alla querela per quest’altra fattispecie penalmente rilevante. L’imputato ha accettato la remissione di querela e dunque è stato assolto dai maltrattamenti con la formula piena “perché il fatto non sussiste”, mentre per la restante accusa con la formula “non doversi procedere”. Secondo la giudice, insomma, non si sarebbe trattato di un maltrattore seriale, ma piuttosto di un compagno a tratti eccessivamente geloso e irascibile.