di Gino Capone
Il titolo non è mio ma di Antonio, un barbone (clochard per i francesi, senzatetto per i Servizi Sociali) che gravita dalle mie parti, l’Esquilino, il più alto ed esteso dei sette colli romani, a due passi dall’antico Foro, in quella Roma sorta con l’Unità d’Italia e detta Umbertina per la sua struttura architettonica voluta dai Savoia sul modello di Torino, perciò provvista di portici (Piazza Vittorio Emanuele II) che spesso forniscono un tetto ai senzatetto.
Antonio è uno di loro e come loro ha un passato alla spalle dal quale si è dissociato: una famiglia, un diploma di maestro elementare e vari incarichi come assessore comunale nel suo paese di origine, un piccolo centro della bergamasca.
Lo conosco da sempre, sin da quando scrivevo le mie prime sceneggiature nella sala da tè di un Bar con affaccio su Santa Maria Maggiore e, quando ancora oggi ci incrociamo, scambiamo sempre due chiacchiere, come ieri sera.
In realtà io mi limito ad ascoltare perché lui è un fiume in piena e parla di tutto e lo fa con cognizione di causa, anche se la piena del fiume di cui sopra è costituita prevalentemente da Tavernello.
E’ sempre molto informato su ciò che accade nell’Altro Mondo, cioè quello non suo, e questo nonostante che la sua informazione sia ‘postuma’, come la chiama lui, solo perché ricavata dai giornali che recupera per strada il giorno dopo la loro uscita. E ieri sera ha voluto dire la sua sulle elezioni del Presidente della Repubblica in corso.
Ce l’ha a morte con Mattarella che, secondo lui, ha fatto una stronzata a mollare il comando della nave (il progetto Draghi) prima che raggiungesse il porto (il completamento del Recovery Plan). Un esperto di navigazione sul transatlantico come lui doveva prevedere che l’equipaggio (un’accozzaglia di quaquaraquà) si sarebbe ammutinato per misere beghe intestine impedendo alla nave di raggiungere il proprio obbiettivo, una rotta fortemente voluta e sostenuta da lui.
«Doveva restare lui al timone, cazzo », conclude Antonio, rosso in viso. «Non dico per tutti e sette gli anni del secondo mandato ma almeno il tempo necessario per portare la nave in porto. Che gli costava? Invece per non accettare un nuovo mandato adesso rischia di mandare a puttane quello precedente. Bravo Sergio. Pensa se Colombo avesse fatto la stessa cosa».