
La Soprintendenza ha risposto in modo anche piuttosto secco che, al momento, non è giunta alcuna richiesta di cambio di destinazione d’uso e che, nel caso giungesse in seguito, sarebbe esaminata “con la scrupolosità e l’attenzione che il caso ritiene ai sensi della normativa vigente”.
Italia Nostra, coi presidenti regionale Cosimo Manca e provinciale Maria Ventricelli, si è spinta anche oltre e ha richiesto al ministro Franceschini l’avvio del procedimento per la dichiarazione del castello come di “interesse eccezionale” ai sensi dell’articolo 104 (comma 1, lettera a) del Codice dei Beni culturali e del paesaggio. Non si tratterebbe di un semplice attestato di merito, ma aprirebbe la strada a nuove prospettive in termini di tutela e fruizione pubbliche.
Infatti, ad oggi, il castello di Oria risulta come di “interesse particolarmente importante” (decreto ministro Pubblica istruzione del 24 maggio 1955) mentre l’area archeologica sulla quale insiste è stata dichiarata di “interesse rilevante” con decreto del ministro della Cultura del 18 novembre 2010.
Ma quali sono i requisiti fissati dall’ormai famoso – per alcuni, famigerato – articolo 104 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio? È presto detto: “possono essere dichiarati di interesse eccezionale le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico particolarmente importante o che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose”.
Va da sé che la descrizione sembra una sorta di identikit, in molti punti, del monumento simbolo di Oria, cui gli oritani sono da sempre legati sin dalla nascita, anche perché quel “vascello natante nell’aria” – nato come fortezza militare e capace di accogliere ben 5mila soldati nella piazza d’armi – giganteggia dal 1233 a cavallo tra le province di Brindisi, Taranto e Lecce.
Si narra che Federico II vi abbia dimorato nell’attesa della promessa sposa Jolanda di Brienne – matrimonio a Brindisi – prima di partire per la crociata in Terra Santa. E ancora: nel 1480, Alfonso II d’Aragona partì proprio dal castello di Oria, alla volta di Otranto, per liberarla dai turchi musulmani intenzionati a conquistare l’Occidente; nel 1572, San Carlo Borromeo vendette il castello di Oria e il suo feudo per devolvere il ricavato della vendita ai poveri e alle opere pie.
Ma sono tante e variegate le storie e anche le leggende – com’è normale – che interessano il maniero, oltre che la stessa comunità alla quale è legato a doppio filo, anche quando esso nel 1933 passò di proprietà ai Martini Carissimo che in cambio cedettero alla municipalità il palazzo loro intitolato e poco distante dallo stesso castello.
Poi, nel 2007, ecco: l’acquisto da parte di Borgo Ducale Srl e della famiglia Romanin Caliandro, il restauro, la scoperta degli abusi edilizi, il sequestro, i procedimenti e le condanne, la mancata riapertura, le trattative con gli amministratori locali, i mancati accordi, i troppi anni di chiusura.
Il resto è storia recente: per il Ministero ancora no, ma per l’opinione pubblica il castello di Oria riveste davvero e di fatto, al di là di ogni altra considerazione, un interesse eccezionale.
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