1) Per quanto riguarda gli aspetti di merito della bozza di convenzione emergono alcuni punti specifici che di seguito riassumiamo.
La procedura prescelta, come risulterebbe dalle premesse della convenzione e indicate peraltro come parte integrante della medesima, ossia il rilascio di un permesso di costruire in deroga ai fini del cambio di destinazione d’uso ai sensi dell’art. 14, comma 1 bis del T.U. dell’edilizia, apparirebbe allo stato palesemente illegittima, in quanto tale norma è applicabile solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia, che, viceversa, non sono consentiti dallo strumento urbanistico del Comune di Oria per gli edifici storici, monumentali e artistici (qual è appunto il castello di Oria) ricadenti nel centro storico (zona omogenea “A”), ove sono unicamente ammesse opere di consolidamento e di restauro senza alterazioni di volumi.
La bozza di convenzione stabilirebbe che la parte monumentale del castello sarebbe aperta al pubblico per le visite turistiche e che la parte direzionale sarebbe invece adibita ad attività di wedding ed eventi in genere, anche musicali.
La distinzione tra parte monumentale e parte direzionale del castello (distinzione che sarebbe definita attraverso una planimetria allegata alla convenzione) appare tuttavia priva di fondamento, se non come mero riferimento legato a fini organizzativi interni rispetto ad un bene, il castello, che è tutelato nella sua interezza fin dal D.M. 24 maggio 1955 in quanto bene di particolare interesse storico-artistico, provvedimento dal quale non si evince alcuna differenziazione riconducibile a quella riportata nella convenzione.
Si ritiene pertanto che tale distinzione non possa essere utilizzata nel testo di una convenzione tra Amministrazione Pubblica e parte privata, anche perché in certo modo allusiva di una gradualità di priorità tra le due (presunte) porzioni dell’edificio storico, assegnando alla parte indicata come “direzionale” una sorta di diritto attenuato (o di non diritto) alla tutela peraltro prevista per l’intero complesso del castello dal provvedimento sopra citato.
Si aggiunga che è ampiamente documentato che il castello è frutto di molti interventi realizzati nei secoli, dal Duecento in poi, dalle varie signorie che hanno avuto il possesso del maniero, e che hanno progressivamente portato ad un ampliamento dell’area abitativa. Di tali interventi e della loro valenza storica ed artistica vi è peraltro traccia anche nella documentazione relativa alle opere di restauro e recupero effettuate dopo il passaggio della proprietà dal Comune di Oria alla famiglia
Martini Carissimo nei primi decenni del Novecento.
Circa l’uso previsto per la parte “direzionale”, che sarebbe adibita ad attività di wedding ed eventi in genere, anche musicali, con la precisazione che le attività di somministrazione di pasti e bevande ed eventuale vendita saranno svolte nel castello in occasione dei matrimoni e degli eventi in genere e/o durante le attività legate al turismo culturale, scolastico e congressuale, è necessario sottolineare che si tratta di una definizione imprecisa, specie alla luce del fatto che, sempre secondo
quelli che sarebbero i contenuti della convenzione, le obbligazioni assunte con la convenzione medesima sarebbero legate all’esercizio dell’attività di impresa e non costituirebbero invece obbligazioni propter rem (cioè non sarebbero legate alla proprietà del castello).
Da qui l’esigenza di una definizione chiara ed univoca dell’attività di impresa esercitata nel castello, anche alla luce di quanto riporterebbe la convenzione, secondo la quale le obbligazioni assunte vincolerebbero le parti per tutta la durata dell’attività imprenditoriale e comunque per un periodo non inferiore a 10 anni dall’avvio dell’attività. Dopo i 10 anni se l’attuale proprietà o eventuali acquirenti o locatari non intendessero più svolgere l’attività di impresa sopra descritta la Convenzione sarebbe sospesa, salvo un obbligo di apertura al pubblico per ulteriori 20 anni (su questo aspetto si tornerà fra breve).
La descrizione dell’attività di impresa riportata nella convenzione (descrizione decisiva per capire se essa è stata sospesa, ripresa, o se è mutata) non appare adeguata né sul piano giuridico né su quello amministrativo. L’espressione “attività di wedding”, se pure ammissibile in termini giornalistici e mediatici, non ha alcun preciso significato in italiano (anche in lingua inglese, infatti, il termine wedding – che di per sé, come è noto, significa matrimonio – viene aggettivato allo scopo di
identificare l’ambito di attività di chi professionalmente opera nel settore: ad esempio wedding planning).
Analogamente, l’indicazione di “eventi in genere, anche musicali” appare incerta. Sarebbe perciò opportuno, essendo l’Amministrazione Comunale, quindi parte pubblica, uno dei sottoscrittori della convenzione, fare riferimento almeno ai codici Ateco, riconosciuti dall’Agenzia delle Entrate, per la definizione dell’attività di impresa di cui trattasi, in ragione del rilievo di tale definizione ai fini dell’applicazione della convenzione medesima.
Come segnalato sopra, secondo la convenzione le obbligazioni con essa assunte atterrebbero all’esercizio dell’attività di impresa e non costituirebbero obbligazioni propter rem. Tali obbligazioni dovrebbero essere trasferite dall’attuale proprietà ad eventuali cessionari, acquirenti o locatari dell’azienda che intendessero svolgere la medesima attività. A parte i problemi connessi alla incerta definizione di “attività” segnalati sopra, e a parte la questione circa l’effettiva valenza di condizioni
trasferite a terzi, specie se acquirenti e quindi nuovi proprietari, derivanti da una convenzione da questi eventualmente non condivisa, sembrerebbe che laddove i nuovi proprietari volessero esercitare una attività di impresa diversa da quella prevista nella convenzione stessa, l’attuale proprietà non sarebbe tenuta a trasferire alcuna obbligazione. Con il risultato che, nell’ambito dei 10 anni, non è chiaro chi dovrebbe garantire l’apertura del castello laddove la proprietà venisse ceduta con modifica dell’attività di impresa: dovrebbe trattarsi dell’attuale proprietà, ma a quali condizioni? Si tratta di un aspetto essenziale della convenzione, che ovviamente necessita di un adeguato approfondimento.
Un altro aspetto che si presta ad osservazioni critiche (e che è stato brevemente richiamato in precedenza) riguarda l’apertura del castello dopo i 10 anni garantiti dalla stipula della convenzione, nel caso di cessazione dell’attuale attività di impresa (attività di wedding ed eventi in genere, anche musicali, come già ricordato). Su questo punto il contenuto dell’accordo sembrerebbe essere particolarmente confuso. Da un lato, infatti, si prevederebbe che dopo i 10 anni, se l’attuale
proprietà o eventuali acquirenti o locatari non intendessero più svolgere l’attuale attività di impresa, la convenzione sarebbe sospesa; ma che chiunque successivamente riprendesse la medesima attività imprenditoriale sarebbe tenuto a rispettare la convenzione stessa.
Da un altro lato si prevederebbe che, in caso di cessazione dell’attività dopo il decennio, l’attuale proprietà e/o i suoi aventi causa, in via diretta o tramite altro soggetto, dovrebbero garantire la visitabilità della parte monumentale per i successivi 20 anni. Tuttavia, e questo è un aspetto cruciale, a suo insindacabile giudizio la proprietà potrebbe trasferire al Comune la gestione dell’area monumentale. In pratica, la proprietà (l’attuale o i suoi aventi causa) potrebbe decidere di affidare al Comune (in proprio o per tramite di altro soggetto) la gestione delle aperture al pubblico dell’area monumentale, ma in
questo caso, per quanto concerne l’area monumentale, il Comune si farebbe carico interamente degli oneri relativi alla manutenzione ordinaria, alle utenze, alle pulizie e agli altri oneri comunali.
Emergono qui due questioni.
Intanto, la scarsa chiarezza circa la previsione relativa alla medesima situazione, cioè quella della cessazione dell’attuale attività di impresa dopo i 10 anni; previsione che da un lato comporterebbe la sospensione della convenzione, e al tempo stesso, da un altro lato, l’obbligo per la proprietà di garantire l’apertura al pubblico della parte definita monumentale.
In secondo luogo, nel corso del ventennio di cui si parla, si attribuirebbe alla proprietà la facoltà insindacabile di trasferire al Comune la gestione dell’area monumentale, ponendo così l’Amministrazione Comunale in condizione di netta subalternità sul piano potestativo e decisionale, perché subirebbe passivamente decisioni altrui. Inoltre si potrebbero configurare oneri finanziari al momento difficilmente quantificabili, ma che nella sostanza si tradurrebbero in poste negative a carico di Amministrazioni future.
Sempre secondo la convenzione, gli ingressi all’area monumentale del castello sarebbero a pagamento (e par di capire che gli introiti sarebbero incassati dalla proprietà). L’Amministrazione Comunale potrebbe utilizzare gratuitamente l’area direzionale per eventi (massimo 5 eventi per un totale massimo di 10 giorni e con un massimo di 10 ore giornaliere) salvo pagamento di servizi accessori, oneri di pulizia e sorveglianza e assicurativi, senza uso delle cucine e delle attrezzature,
senza possibilità di catering esterno, senza diritto di accesso all’area monumentale (salvo accordi).
In cambio di questa prospettiva di apertura al pubblico del castello, che come illustrato sopra appare limitata nel tempo e densa di interrogativi, l’attuale proprietà otterrebbe la variazione perpetua di destinazione d’uso (per poter effettuare banchetti e ricevimenti, in sostanza matrimoni, ed organizzare eventi anche musicali) e, per il presente, un non meglio specificato permesso di costruire.
2) Su un piano più generale, per quanto riguarda quella che potremmo definire la filosofia che sembrerebbe ispirare l’accordo, non possiamo fare a meno di sottolineare come la convenzione attualmente proposta possa tradursi in un sostanziale arretramento circa il diritto di uso pubblico di un bene che, benché di proprietà privata, è sottoposto a specifici vincoli ed è inoltre incardinato nella storia e nella cultura oritana e pugliese. Si può aggiungere che il Castello è collocato in un’area, quella dei Tre Colli di Oria, a sua volta sottoposta a tutela in quanto zona di notevole interesse
pubblico.
E’ anche bene ricordare che già l’atto di permuta datato 4 dicembre 1933, all’epoca sottoscritto dal Podestà dell’Ente e dal Conte Martini Carissimo, con il quale quest’ultimo, nell’acquistare la proprietà del Castello Svevo a seguito della permuta di Palazzo Martini, si impegnava a testualmente “[…] far visitare le torri nei giorni e nelle ore che egli stesso vorrà designare a quei cittadini e forestieri che vi si recheranno a scopo culturale e storico” non comprendeva limiti temporali. Limiti temporali che oggi vengono invece introdotti, assumendo per tal modo un impegno che potrebbe potenzialmente limitare l’autonomia d’azione delle future amministrazioni, oltre che incidere negativamente sui diritti generali dei futuri cittadini e della società civile di Oria e del territorio pugliese.
Sarebbe invece auspicabile che l’Amministrazione comunale pretendesse sin da subito il rispetto dell’uso pubblico che si è venuto consolidandosi sul castello, atteso altresì che nulla impedisce attualmente ai proprietari (avendo sanato le opere abusive) di aprirlo al pubblico e di avviare l’attività turistico–culturale e convegnistica per la quale a suo tempo chiese ed ottenne il permesso di costruire. È di tutta evidenza, infatti, che il fatto, protrattosi nel tempo (per oltre settant’anni
sono state consentite le visite pubbliche al castello), della messa a disposizione del pubblico delle torri e delle sale ad esse connesse, in uno con la clausola contenuta nell’atto di permuta del 1933, in base all’interpretazione che le parti ne hanno sempre dato, ha costituito su quella parte del maniero un diritto di uso pubblico ai sensi dell’art. 825 c.c. e dell’art. 105 del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio.
3) Oltre a quanto esposto fin qui riteniamo si manifesti anche un problema sul piano del metodo adottato dall’Amministrazione Comunale. Su un tema di così evidente rilievo per la città, sarebbe stato e sarebbe opportuno un maggiore coinvolgimento della cittadinanza, attraverso un’opera di informazione diretta e chiara e attraverso percorsi di partecipazione che possano coinvolgere la società civile e le sue espressioni, così come previsto, del resto, dall’art. 61 dello Statuto del Comune di Oria. Partecipazione che, per essere reale, necessariamente dovrebbe essere preventiva, e non eventualmente ridotta ad una semplice informazione a posteriori su atti già compiuti.
Si aggiunga, sempre sul piano del metodo, che la bozza di accordo chiarisce che gli effetti della convenzione rimarrebbero sospesi sino all’approvazione da parte della Sovraintendenza. Il che sembrerebbe significare che il Consiglio Comunale dovrebbe approvare un atto la cui validità dipenderebbe da un parere ancora non ottenuto: non sarebbe più semplice e anche più logico evitare questa impropria inversione del percorso, acquisendo preliminarmente il prescritto parere
della Sovraintendenza? A questo proposito, si potrebbe anche pensare all’indizione di una specifica Conferenza di servizi come strumento di coordinamento dei molteplici interessi coinvolti nella tutela di un bene di sicuro valore archeologico, paesaggistico e ambientale, al fine di soppesarli ed aggregarli secondo un principio di ampio e corretto confronto democratico.
In sintesi, ribadendo la nostra posizione del tutto favorevole all’apertura al pubblico del Castello di Oria, ribadiamo altresì che, per quanto è noto allo stato dei fatti, le condizioni fissate dalla bozza di convenzione attualmente in discussione non appaiono accettabili.
In primo luogo, si tratta, nella sostanza, di un accordo che presenta evidenti elementi di asimmetria a sfavore dell’Amministrazione Comunale, e più in generale della cittadinanza e della società civile oritana e non.
In secondo luogo tale accordo è viziato in più punti da imprecisioni e lacune, da cui potrebbero derivare, in futuro, contenziosi anche complessi, e rispetto alle quali appare necessario uno specifico approfondimento.
Infine, ribadiamo la nostra protesta relativamente al metodo fin qui adottato dall’Amministrazione Comunale, che non ha tenuto in alcun conto i diritti alla partecipazione dei cittadini, singolarmente o attraverso le espressioni della società civile, pure sanciti, oltre che dal contesto normativo nel suo insieme, anche dallo Statuto comunale, e conseguentemente ribadiamo la richiesta di adeguati percorsi di partecipazione.
Oria, 4 ottobre 2020
Per il Circolo “Piaroa” Legambiente – Oria
Antonella Palazzo (mail: gigliola.palazzo@gmail.com)
Giuseppe Ponzini (mail: ponzinipino@gmail.com)
Per l’Associazione Mente Civica Oria
Mario Sartorio (mail: info@mentecivicaoria.it)