Nel ’73, prima della partenza nacque mia sorella Ilaria.
Poi, come dicevo, ci trasferimmo e nacqui io. Lui (mio zio, lo chiamo sempre cosi) era quello che ci accudiva insieme a mia madre. Alla mia tenera tenera età di 5 anni tornammo nel paese di provenienza, un piccolo centro del Milanese.
Da lì iniziarono gli abusi. Mio padre lo vedevo pochissimo perché lavorava come camionista e quindi c’era mia madre e mio zio che si davano il cambio al bar di proprietà della Curia.
Lui veniva e giocava con noi finché le mie sorelle si addormentavano. In quei momenti lui si approfittava nel toccarmi le parti intime, lo stesso dovevo fare io con lui che a volte mi costringeva a fare ciò che purtroppo porta l’uomo a godere di orgasmo puro.
A scuola non dicevo niente per paura della maestra. Lei ci alzava le mani o lanciava i quaderni. Subivo senza fare nulla anche perché lui mi minacciava anche di morte.
Nel corso degli anni ci siamo trasferiti in provincia di Varese, ero una piccola studente indifesa e terminando gli studi nella scuola elementare, precisamente in quinta elementare, mia madre spesso viaggiava con mio padre lasciando noi figlie da sole con l’orco.
Quelli sono stati i tempi più difficili: mi portava in camera dei miei per farmi guardare i video pornografici e io dovevo fare come facevano loro. Ho dato qualche segnale ma poi ho ritrattato tutto. Ha continuato cosi fino ai 16/17 anni. A 19 grazie ad uno pseudo amico (lui lo ha fatto solo per farsi pubblicità sui giornali) ho denunciato.
Lì è iniziato un altro calvario. Le prime parole di mio padre sono state: «Mi hai deluso». Da lì a venire sono diventata anoressica, ho fatto 3 mesi di ospedale con cinque flebo al giorno. Poi sono andata in comunità nel mese di aprile del 1996 e dovevo restarci per almeno un anno ma i soldi non bastavano per potermi curare e mi hanno rimandato a casa dopo sei mesi.
Nel frattempo avevo saputo che “quello” aveva fatto solo 6 mesi di carcere per incompatibilità con il regime carcerario. I miei lo hanno aiutato economicamente a trovarsi una casa ma purtroppo lavorava di fronte casa nostra e cosi tentai il suicidio, ero esasperata, impaurita, avevo timore. Mi ha seguito poi per un anno il CPS ma poi ho rinunciato, pensavo che ne sarei uscita da sola.
Diciamo che fino a sette anni fa, tra alti e bassi, ho cercato di dimenticare mentre mia madre non ha mai smesso di avere rapporti con lui.
Poi sono iniziati i flashback, gli incubi e su FB avevo un doppio profilo dove mi insultavo da sola perdendo così delle persone fantastiche; purtroppo avevo perso le staffe, nessuna ragionevolezza. Lì ho capito che avevo bisogno di aiuto.
Ora sono seguita da un altro CPS e mi trovo bene anche se due anni fa ho tentato il suicidio. Sono anche seguita dal Sert perché intanto ho cominciato a bere, ho mia madre invalida al 100% che vive con me e mio marito. Un mese fa l’orco è morto all’età di 60 anni. Ho pianto. Non chiedetemi perché, non lo so, e cosi mi hanno aumentato la terapia.
Ho 43 anni, e ancora non so cosa mi riserverà la vita. Ho sofferto e forse continuerò a soffrire, ma spero sempre nel rialzarmi.
«Questa, in breve, la storia di Barbara – commenta Caterina Sollazzo dell’associazione “Non abbasso la testa altrimenti mi cade la corona” – che dire? Da donna a donna, le consiglio di non arrendersi, la vita non è facile, ma non è mai troppo tardi per debellare il male e cercare di vedere in positivo. La speranza è il sale di ogni male. Un grande abbraccio Barbara, ti auguro di sorridere alla vita, perché non c’è cosa più bella se pur costrette a ballare sotto la pioggia»
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