Quei soldi dovranno tornare nel conto del correntista: circa 70mila euro a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, competenze e commissioni di massimo scoperto di cui la banca, secondo il Tribunale di Brindisi (giudice Gianmarco Galiano), non avrebbe proprio dovuto appropriarsi.
La storia giudiziaria, conclusasi lo scorso 18 dicembre, comincia nel 2014, quando per il tramite del suo legale di fiducia, il titolare di una piccola impresa artigianale a conduzione familiare, con sede a Oria, decide di citare a giudizio il suo istituto di credito, ritenendo che il suo saldo nei confronti dello stesso dovesse essere attivo e non passivo. L’avvocato Giuseppe D’Ippolito del Foro di Taranto chiede, così, la restituzione delle somme illegittimamente prelevate dalla banca.
Dopo tutta una serie di udienze e complesse consulenze tecnico-contabili susseguitesi negli anni, si giunge a determinare il cosiddetto “saldo zero” tra la banca, che non riesce a provare l’esistenza del suo credito per carenza di documentazione datata, e lo stesso cliente, che lamenta anche la capitalizzazione trimestrale degli interessi in assenza di esplicito accordo negoziale tra le parti e il cosiddetto anatocismo (interessi sugli interessi).
L’artigiano, il cui saldo era giunto a -25.613,94 euro, è risultato invece creditore, al 31 marzo 2014, di 69.333,24 euro nei confronti della banca, che dovrà quindi restituirgli il maltolto. L’istituto è stato anche condannato al pagamento delle spese legali e di giudizio.