Francavilla si è risvgliata assorta nel silenzio, stamattina. Un silenzio che conoscono bene quanti Francavilla l’abbiano vissuta da sempre, o anche solo una volta, nel giorno del Venerdì Santo. Un silenzio che neppure i novelli di questi Riti potranno dimenticare. È un silenzio unico perché non è fatto di vuoto, di assenza di suoni: è, anzi, un silenzio carico di molte cose. Dei passi trascinati degli anziani che, nonostante il peso degli anni, non rinunciano a rendere omaggio alle tradizioni di una vita; delle indicazioni scambiate, sottovoce, tra i passanti per individuare il punto in cui si trovano le varie processioni; del suono gracchiante, struggente, della trenula. Si dovesse pensare al suono più misterioso e, al tempo stesso, più familiare del mondo, gli autoctoni penserebbero di certo a questo, a quello della trenula: dal greco trenos, battola, uno strumento che, nel mondo antico, dava il nome a tutta una letteratura detta “funebre”.
I trenoi erano appunto delle composizioni funerarie, di lutto e pianto, molto diffuse nella cultura greca. La prima voce italianizzata per dare un senso a questo strano strumento e, di conseguenza, la prima introduzione dell’abitudine di associarlo ad un contesto di lutto, fu “battaglio”, e risale al XVI secolo.
Si legge di questo battaglio, descritto come uno strumento di legno di noce e ferro, in una testimonianza di san Carlo Borromeo, e da esso prendeva il nome la processione del Venerdì Santo, detta “del Battaglino”.
Il lamento funebre non ha mai abbandonato Francavilla, per tutta la nottata, fin dal tardo pomeriggio di ieri: stamattina, alle 8, la comunità è stata destata per essere richiamata a partecipare alle processioni delle “Desolate”.
Le confraternite coinvolte sono storicamente sei ma, dagli anni Ottanta, il Vescovo ha stabilito un’alternanza di tre confraternite, e quindi di tre processioni, per anno. In contemporanea, i “pappamusci” hanno proseguito il loro incessante pellegrinaggio.
Nel primo pomeriggio, in ogni parrocchia, avviene invece l’adorazione della Croce, coperta da un telo, annuncio della morte di Gesù. Particolarmente nota è quella della Chiesa di Santa Chiara perché, immediatamente dopo la funzione religiosa, comincia – concitata e sentita – la preparazione delle statue che saranno portate in processione. Il percorso del sacro corteo per le strade della città si rinnova ogni anno, ininterrottamente, fin dal Medioevo, anche se in origine riguardava unicamente del simulacro di Cristo Morto.
La denominazione di “Misteri” viene da un’usanza del teatro medievale di rappresentare drammi sacri aventi per oggetto episodi della Bibbia o del Vangelo.
Si richiamavano, con questo nome, i culti misterici precristiani ai quali veniva contrapposto il mistero cristiano come l’unico realmente salvifico.
Tuttavia, nel Concilio di Trento, si cercò di proibire le rappresentazioni sacre perché ritenute ormai sacrileghe, spinte al limite dell’idolatria, e così la tradizionale processione del Cristo Morto, attestata anche a Francavilla, si trasformò nel 1623 nella lunga processione conosciuta oggi, raffigurante i diversi momenti della Passione e Morte.
Alle 19, la tensione emotiva che ha caratterizzato tutta la settimana giungerà al culmine, tra la folla che gremisce la piazza antistante alla Chiesa di Santa Chiara. L’emozione sarà tanta: il suono ufficiale di una tremula, poi tutto comincia.
La prima a spuntare dal portone sarà la Croce nera colma di simboli, la stessa che era per strada nella Domenica delle Palme.
I confratelli porteranno in mezzo alla piazza la statua di Cristo col pane (La Cena), che aprirà la Via Crucis dei Misteri, seguirà “Cristo all’orto”, su cui aleggia il “calice amaro”. Il silenzio si farà più intenso quando arriveranno la statua di “Cristo alla colonna” e di “Cristo alla canna”, sebbene la statua a cui forse i francavillesi sono più legati sia la “Cascata”, detta anche “Lo Spasimo”, che raffigura Cristo caduto sotto il peso della croce.
La leggenda narra che il simulacro, una volta finito, parlò al suo autore: «Dove mi vedesti, che così mi facesti?”, tanto è impressionante il realismo di questo volto che sembra vivo.
Un lungo corteo di penitenti prenderà sulle proprie spalle una croce, e durante il suo passaggio, così composto, doloroso, immerso nel suono strusciante delle travi sulle chianche, verrà quasi di trattenere il respiro.
I crociferi, detti “pappamusci cu li trai” trascinano – da sempre – croci di legno di vari spessore, grandezza e pesantezza, su cui sono segnati gli anni di costruzione: fa impressione leggere date tanto risalenti nel tempo, segni tangibili di una tradizione che si trasmette di padre in figlio, di generazione in generazione. Alla fine, la statua di Cristo in Croce che spira e poi la “Sacra Sindone”, una croce nera in memoria della sua morte e sulla quale è steso un sudario. La statua di Cristo Morto, posta in orizzontale, un tempo era portata dai sacerdoti del Capitolo, accompagnati dai principi Imperiali. Oggi, invece, lo accompagnano le maggiori autorità cittadine. Il corteo è chiuso dalla statua dell’Addolorata, anch’essa espressione di una raffinata ed antica arte della cartapesta che vede, sulle statue francavillesi, la firma di autori del calibro di Pinca, Guacci, “lu Nicchitieddu”. Una tradizione nella tradizione che va custodita gelosamente.
Lo Strillone, anche quest’anno, sarà presente tra le strade per cercare di raccontare, anche attraverso le dirette sulla pagina Facebook, la notte del Venerdì Santo, con un pensiero particolare soprattutto a chi è lontano: trasmettere le emozioni reali sarà forse impossibile, ma si proverà ugualmente a dare un assaggio di ciò che è, ogni anno in questa surreale giornata, Francavilla Fontana, ciò che prova e fa la sua gente.
(Le foto a corredo di questo post sono state scattate, stamane, da Ivano Galasso ©️)
Ilaria Altavilla