Se n’è restato in silenzio per un po’ dopo la dura reazione a caldo seguita alla clamorosa esclusione dalla Giunta di cui era vice sindaco. Oggi, Luigi Galiano torna a parlare e i suoi toni sono perentori: «O faccio io l’assessore o non può farlo nessun altro», ha scritto in una comunicazione su facebook che, come noto, da qualche anno a questa parte non rappresenta più soltanto un diario digitale personale, ma un formidabile strumento di propaganda politica (specie per chi sa farne buon uso).
Nel suo post, neanche troppo lungo, Galiano fa riferimento al suo partito (Alternativa popolare) e parla di “situazione decisamente degenerata”. Fa poi cenno a “rispetto, lealtà e condivisione”: «L’Alternativa popolare in cui ho sempre creduto non è quella che sta consumando questo scempio – scrive – che ha già consumato questa ingiustizia facendomi uscire dalla Giunta con un atto arrogante e prepotente. Ho tentato, lo giuro, di dimenticare, di andare avanti, di perdonare l’imperdonabile per il bene della città e per ricominciare da capo. Ma nulla, anzi peggio, in questi giorni si sono consumati ulteriori atti e fatti gravissimi che ormai non intendo sopportare più. Gente senza titolo che finge di convocare riunioni di partito, salvo poi rinviarle sine die e senza motivi perché, sottobanco, tenta strade “diverse” sempre sulla mia pelle. Sono stato il primo degli eletti in AP con oltre 600 voti, grazie ai quali è stato eletto anche il secondo consigliere e, sempre grazie al mio sacrificio di lasciare il Consiglio per entrare in Giunta, è stato eletto anche il terzo. Ho dato lustro al mio partito lavorando sodo quotidianamente e dando risultati impensabili all’Amministrazione e all’intera Città. E oggi cosa vedo? Vedo che il mio partito non mi vuole riconfermare per dare spazio ad altri (a chi?) non per nobili fini politici, ma per consumare vendette di bassissima lega. Da questo modo becero di fare politica prendo le doverose distanze! L’assessore di Ap era e resta uno solo e quello, non si dispiaccia nessuno, posso solo essere io».