Sono state emesse oggi le condanne a carico dei “caporali” arrestati il 12 aprile del 2016 dai carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana.
Si tratta di Chiara Vecchio, 45 anni, e del il figlio Vito Antonio Caliandro, 29 anni, entrambi di Villa Castelli.
La prima è stata condannata a 4 anni e 8mila euro di multa, il figlio a 2 anni e 8 mesi più 6mila euro di multa. Dovranno anche risarcire la vittima costituitasi parte civile. Il processo si è svolto con il rito abbreviato dinanzi al Gup Paola Liaci, l’accusa è stata sostenuta dal Pm Raffaele Casto, il aveva anche coordinato le indagini che, ad aprile 2016, portarono all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare da parte del Gip Tea Verderosa.
Le indagini avevano dimostrato che madre e figlio, in concorso, si erano resi responsabili del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Si tratta, come noto, del reato previsto e punito dall’articolo 603 bis del codice penale, introdotta nell’estate del 2011 con decreto legge poi convertito in legge per contrastare il cosiddetto “caporalato”, pratica ancora presente in particolar modo nel Meridione. Per una terza imputata, di nazionalità romena, il processo si svolgerà separatamente.
L’indagine, condotta dal Nucleo operativo e radiomobile della compagnia carabinieri di Francavilla Fontana, diretto dalla Procura della Repubblica di Brindisi, ebbe inizio nel settembre 2015 e si è svilupòa tramite servizi di osservazione e videoriprese lungo gli itinerari e sui luoghi di lavoro, attività tecniche, nonché controlli e ispezioni asui veicoli utilizzati per il trasporto dei lavoratori. In particolare, le investigazioni hanno consentito di:
– accertare le responsabilità degli indagati dediti al reclutamento e alla gestione di manodopera agricola, sfruttata mediante minacce e intimidazioni, approfittando, fra l’altro, dello stato di bisogno e di necessità dei lavoratori;
– documentare l’effettuazione di prestazioni lavorative, della durata media di 14 ore giornaliere, svolte prevalentemente nell’agro del comune barese di Noicattaro, con sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro e ai riposi settimanali e con retribuzioni palesemente sproporzionate rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro effettivamente prestato;
– comprovare la sottoposizione dei lavoratori a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza e situazioni alloggiative particolarmente degradanti;
– riscontrare, in più occasioni, che il trasporto dei lavoratori – da Villa Castelli a Noicattaro e viceversa (170 km. circa) – avveniva su veicoli con capienza decisamente inferiore al numero delle persone trasportate, alcune delle quali erano pertanto costrette a viaggiare all’interno dei bagagliai.