Nel corso della prima udienza celebrata oggi a carico di cinque medici, che sei anni fa dimenticarono un tubicino nell’addome di un paziente poi deceduto, il giudice Adriana Almiento ha ammesso la costituzione delle parti civili – moglie, figli, nipoti, generi e nuore del 67enne Angelo Ciracì – e i mezzi di prova proposti dai legali Domenico Attanasi del Foro di Brindisi e Vincenzo Bianco del Foro di Bologna. I professionisti a processo – difesi dagli avvocati Antonio Andrisano e Vittoriano Bruno del Foro di Brindisi e da Giuseppe Bellini del Foro di Lecce – sono: Vincenzo della Corte (primario di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Francavilla Fontana), Rocco Montinaro (primario di Chirurgia generale), Alessandro Perrone (dirigente medico di Chirurgia generale), Domenico Lamacchia (dirigente medico di Chirurgia generale) e Cosmiana Galizia (dirigente medico di Anestesia e rianimazione). L’accusa a loro carico è di omicidio colposo per aver effettuato – è la tesi dell’accusa – un intervento chirurgico sbagliato, conseguenza di diagnosi a sua volta errata, e per aver dimenticato nell’addome dello stesso paziente un tubicino di 7-10 centimetri.
Una sequela di presunte negligenze e abbagli, che secondo la Procura di Bologna, avrebbe causato mesi dopo la morte dell’uomo, avvenuta nell’ospedale Sant’Orsola di Bologna.
I fatti risalgono all’aprile del 2011, quando il 67enne Angelo Ciracì si recò presso il Camberlingo di Francavilla con gravi sintomi di malnutrizione (arrivò a pesare appena 50 chili). Sbagliando completamente diagnosi – o almeno questa è l’ipotesi dell’accusa – i medici decisero di sottoporlo a una “banale” colecistectomia (giudicata dalla Procura come “del tutto inutile”). Montinaro e Perrone decisero di dimettere il paziente poco dopo – troppo presto secondo la pubblica accusa – “pur in presenza di esami di laboratorio notevolmente alterati” e “senza approfondire il quadro clinico”. Risultato? 24 ore dopo il paziente dovette essere ricoverato nuovamente d’urgenza e sottoposto a un secondo intervento chirurgico (stavolta a Lecce).
“Nell’effettuare un’ulteriore errata diagnosi – scrive la Procura – e nel procedere ad un ulteriore intervento chirurgico inutile” e “non a regola d’arte”, “non veniva rimosso al termine dell’operazione, dall’addome del paziente, un corpo tubolare della lunghezza di circa 7-10 centimetri”. Tubicino che “determinava l’insorgere di una peritonite”.
Nei mesi scorsi, Lo Strillone ha ospitato e ripropone anche la versione delle persone accusate – a loro dire ingiustamente – di omicidio colposo. Qui la nota del dottor Perrone e qui, invece, le dichiarazioni del dottor della Corte.