Metti una trasferta “comoda” a 40 chilometri da casa.
Metti un derby contro chi, fino ad allora, ti ha guardato dall’alto in basso e, paradossalmente, continua a farlo.
Metti che l’anno prima tu – a differenza di altri – quel posto nel calcio che conta te l’eri conquistato con fatica e sul campo.
Metti il posticipo serale di un campionato professionistico trasmesso dalla tivù di Stato.
Metti un clima né caldo né freddo, ma non certo ideale: scirocco fastidioso e umidità al 70%, con un cielo che minaccia pioggia da un momento all’altro.
Metti 500 tifosi paganti che ne valgono almeno 5mila, ma forse molti di più.
Metti i cori e le sciarpate incessanti sugli spalti.
Metti che i telecronisti sottolineino il tuo entusiasmo e che pronuncino più volte i nomi della tua città e dei tuoi beniamini.
Metti che ricordino i colori per cui tieni, per cui orgogliosamente tifi.
Metti una squadra che magari non gioca benissimo, ma che dà l’anima, l’anima di un’intera città che finisce nel pallone.
Metti che tu, infreddolito ed ebbro, per ora te ne freghi di tutto questo.
Metti l’orgoglio.
Metti la passione.
Metti la fede.
Metti un presidente generoso.
Metti un mister cazzuto.
Metti undici leoni in campo anche dopo i cambi.
Metti che, fino a quel momento, un giorno così te l’eri solo immaginato, sognato.
Metti che tu, un 14 novembre qualsiasi, abbia scritto un’importante e indelebile pagina di storia.
Metti una vittoria 3-2 all’Erasmo Iacovone di Taranto.
Metti che tutto questo sia davvero molto, molto Bello.
E metti che la B maiuscola, al netto della scaramanzia e degli scongiuri del caso, almeno per un turno, sia tutt’altro che un errore ortografico…