Un anno senza il comandante Dell’Aquila: oggi sarebbe andato in pensione e…

2 Giugno 2007, Prefettura di Brindisi: il capitano Emilio Dell'Aquila è insignito del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica. Ad accompagnarlo il sindaco di allora e di oggi Cosimo Ferretti
2 Giugno 2007, Prefettura di Brindisi: il capitano Emilio Dell’Aquila è insignito del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica. Ad accompagnarlo il sindaco di allora e di oggi Cosimo Ferretti

di Eliseo Zanzarelli

«(…) Ma questo è un paese strano, caro mio, questo è un paese in cui è più facile prendersela con chi conta veramente che con chi non conta un “bip” e però comanda. E, allora, o ti collochi nel mezzo e fai da cuscinetto oppure è il caos». Quasi una profezia. La citazione sul taccuino degli appunti, seguita da “questo non lo pubblicare, per ora”, è del capitano Emilio Dell’Aquila, che se n’è andato in un torrido pomeriggio di 366 giorni fa (il 2016 è bisestile).

Una di quelle figure, per quanto ampiamente criticate, che hanno di sicuro lasciato un’impronta nella storia locale. Comandante della polizia municipale quasi per caso a metà anni 2000, ma sempre riconfermato nei dieci lunghi anni dopo, Dell’Aquila si è portato con sé nella tomba un’esperienza e diversi segreti fuori dal comune e anche dentro il Comune, quello di Oria.

Un altro momento di quel 2 Giugno 2007: Dell'Aquila con l'allora sindaco di Fasano, Lello Di Bari, e con quello di Oria, Cosimo Ferretti
Un altro momento di quel 2 Giugno 2007: Dell’Aquila con l’allora sindaco di Fasano, Lello Di Bari, e con quello di Oria, Cosimo Ferretti

Ci sarebbe stato un tempo per tutto, ripeteva spesso. E quel tempo sarebbe forse giunto oggi, quando – dopo 44 anni di servizio – se ne sarebbe andato in pensione, dedicandosi alla scrittura di un libro. O, meglio, di un memoriale. E, ovviamente, alla sua campagna. Meglio ancora: alla scrittura delle sue memorie nella quiete della sua amata campagna, il buen retiro in cui ha purtroppo trovato quel riposo che fino ad allora, fino a un anno fa, non si era veramente mai concesso.

Il 19 luglio 2015, si è spento così, all’improvviso, il cavaliere Dell’Aquila. C’era il sindaco di oggi, Cosimo Ferretti, al suo fianco il 2 Giugno 2007 in Prefettura alla consegna di quel titolo onorifico, conferitogli dal prefetto Mario Tafaro in nome e per conto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di cui era orgogliosissimo.

Dell’Aquila, uno che andava fiero di ogni singolo passo fatto, persino di ogni errore perché gli sarebbe servito a non commetterne degli altri.

No, non era amatissimo, il comandante. Di nemici se n’era fatti tanti, per la sua pignoleria, per i suoi modi spicci, per il suo vizietto di dire a chiunque non stimasse che, appunto, non lo stimava. Senz’alcun tatto, perché era fatto così, forgiato dai trascorsi nell’Aeronautica Militare (dove si occupava di ponti radio, quando le “nuove” tecnologie erano ancora appannaggio di pochissimi).

L’ipocrisia e il savoir-faire lo tediavano, a tratti lo irritavano. Si lamentava di molti politici che gli passavano accanto – spesso indicati, in confidenza, “idioti con i voti” – ai quali però doveva essere ed era fedele. E, quindi, spesso finiva per dare loro consigli anche in campi che esulavano da quelle che erano, sulla carta, le sue competenze. «Consigli che hanno salvato più di qualche c… (fondoschiena)», giurava.

C’era e c’è da credergli.

Gli sarebbe sicuramente piaciuto tanto riscoprire Parco Montalbano, coi nuovi scavi archeologici – era un appassionato – e con la nuova illuminazione. Si sarebbe occupato in prima persona di aprirne e chiuderne sempre i cancelli, di renderlo fruibile ai turisti pur di starsene a due passi due di quella che era sin da bambino la sua ossessione: il castello. Innamorato perso.

Migliaia le foto con quel soggetto.

Negli ultimi anni per lui quasi una fissa. Suoi i primi “nossignore”, sue le indagini, sue le scoperte delle modifiche, sua l’enorme mole di documenti spedita direttamente in Procura. Suoi, dopo, persino i primi esiti di un processo che, se egli non avesse avuto quella testa dura e quell’amore profondo, non sarebbe neppure iniziato.

Si sarebbe occupato ancora di quest’argomento – come già con le sue reflex e le sue digitali – una volta libero dagli affanni del lavoro. In un armadietto chiuso a chiave del suo ufficio, in municipio, custodiva tante foto e tante “carte”. Su questa e su altre faccende. Gli sarebbero tornate utili, prometteva. Ne avevano superate tante quel suo enorme cuore e quel suo fegato sempre più gonfio, da non immaginare che l’avrebbero tradito a un passo dal meritato congedo.

A quel punto, il suo contegno di uomo delle istituzioni e i segreti militareschi cui ha sempre, a volte inconsciamente, obbedito sarebbero pian piano caduti. Si sarebbe lasciato andare, raccontando e svelando. Che non sia successo, che non sia potuto succedere, è stato un peccato per tutti. O per quasi tutti.

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