Se fosse caduto sotto i colpi della mala, che ha combattuto per anni e anni, probabilmente saremmo qui a celebrarlo come un eroe, coi dovuti onori civili e militari. Il capitano Gianbruno Ruello originario di Taranto, con un recente passato a Brindisi e oggi di stanza a Bari, invece, si è dovuto arrendere a soli 48 anni al fato e alla casualità, che quando vogliono sanno ferire più di un cecchino, peggio che una lupara. E ferirti a morte esattamente lì, alla nuca – a mo’ di esecuzione mafiosa – per giunta quando non hai tra le mani un mitra, indosso un giubbetto antiproiettili. Che per giunta non ti sarebbero serviti a nulla. Nella vita puoi avere tanti nemici, ma se ti sfida la sorte, hai davvero zero possibilità di farcela. Il capitano Ruello ci ha provato anche a coltivare una passione, ma proprio quand’era libero dal servizio, e senza sulle spalle quell’uniforme pesante e fiera, ha dovuto arrendersi a un destino cinico e baro. Un proiettile vagante l’ha centrato alla testa quando si era calato nei panni di giudice di gara per la quarta prova del campionato nazionale di Action Shooting, in corso ieri presso il campo di tiro della Dynamic Shooting “Federico II” in località San Cosimo alla Macchia a Oria. Colui che ha sparato con la sua pistola semiautomatica Glock calibro 9, lungo un altro percorso, era coperto da una sagoma e non ha visto il capitano; il capitano era girato e non ha visto colui che sparava. Quella pallottola gli si è conficcata nel cervello e da lì non ha più voluto saperne di uscire. Sarebbero stati sufficienti 20 centimetri, forse anche dieci e non sarebbe successo alcunché. Ma probabilmente era scritto da qualche parte che l’ufficiale – molto stimato sia all’interno del Corpo che fuori, dalla gente – ieri, dopo le 12 di un sabato nato spensierato, se ne sarebbe dovuto andare così. In un modo assurdo e inaccettabile. Ora starà ai suoi colleghi e alla magistratura ricostruire per filo e per segno l’intera vicenda.
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