Domenica prossima, 17 aprile 2016, dalle 7 alle 23, gli italiani sono chiamati ad apporre la fatidica croce sul “Sì” o sul “No” in occasione del cosiddetto referendum sulle “trivellazioni”. La domanda alla quale rispondere – perché sia abrogato o confermato l’articolo 6, comma 17, terzo periodo del decreto legislativo 3 aprile 2006 numero 152 (Codice dell’Ambiente) – è, in estrema sintesi, il seguente: «Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali (12 miglia marine, cioè 22,2 chilometri) anche se c’è ancora gas o petrolio?». Se ne parla poco e spesso a sproposito, così noi de Lo Strillone abbiamo chiesto un parere a un esperto (non di trivelle, ma di diritto) su alcuni temi “caldi” quando all’apertura delle urne manca ormai appena una manciata di giorni. L’avvocato Antonello Denuzzo è ricercatore di Diritto costituzionale e professore di Diritto pubblico presso l’Università del Salento.
Professore, cosa pensa della scarsa attenzione riservata in genera dai media all’argomento referendum?
Desta perplessità la poca attenzione dei media nei confronti del referendum del 17 aprile; in una situazione di scarsità di informazioni è molto elevato il rischio di scelte individuali inconsapevoli.
Si parla, però, anche di “personalizzazione” del referendum: può essere un voto contro il Governo Renzi?
La natura del referendum abrogativo previsto dalla nostra Costituzione è quella di uno strumento per l’esercizio di un potere “eversivo” da parte del popolo nei confronti del Legislatore e del Governo. In tutte le vicende referendarie è inevitabile che si alimenti una tensione emotiva tra la maggioranza parlamentare di turno che ha emanato l’atto normativo, che è per così dire “affezionata” a quell’atto, e coloro che mirano ad abrogarlo. Ma il referendum abrogativo resta una garanzia fondamentale per l’esistenza di posizioni differenti, un presidio della pluralità delle opinioni in uno Stato democratico.
Quali altri interessi in gioco oltre a quelli strettamente economici legati all’estrazione di gas e petrolio?
In base al principio giuridico dello “sviluppo sostenibile” le necessità del presente devono essere soddisfatte senza compromettere quelle delle future generazioni; in altre parole gli interessi economici legati alle trivellazioni non devono prevalere necessariamente su ogni altro interesse, ma devono essere “bilanciati” per esempio con l’esigenza di salvaguardare l’ambiente. Peraltro andrebbero tutelati anche altri interessi economici che sono in contrasto con l’attività di estrazione degli idrocarburi: si pensi alla propagazione acustica provocata nell’acqua dalle trivelle, che è la causa dello spostamento di interi stock ittici, con gravi e intuibili ripercussioni sulla pesca.
L’importanza o, meglio, la valenza reale di questo referendum al di là del quesito in sé?
In realtà il referendum sulle trivelle ha una profonda valenza simbolica, perché si tratta di scegliere il tipo di politica energetica che l’Italia intende perseguire. L’Unione Europea richiede e finanzia l’implemento di fonti di energia alternativa; ma su questo punto sono particolarmente evidenti il ritardo del nostro Paese e lo scollamento tra la politica e la ricerca scientifica.
D’altra parte si deve pur riconoscere che la questione è molto complessa: per esempio l’installazione di un pannello fotovoltaico su un terreno coltivabile è una scelta di politica energetica che può entrare in contrasto con altre scelte legate alla politica del paesaggio o alla politica agricola di uno Stato.
L’appello all’astensione… Secondo lei, i cittadini dovrebbero andare a votare?
A prescindere dall’esito di questo referendum, è importante che i cittadini si rechino a votare: per esprimere una preferenza, ma soprattutto perché la garanzia del diritto di voto è evidentemente nel suo esercizio.