Ai tempi, comandava una stazione dei carabinieri nella provincia di Brindisi e, com’era giusto che fosse, costituiva un punto di riferimento a presidio della legalità. Anni e anni di onorata carriera, ma poi – almeno stando all’esito del processo di primo grado – per lui uno scivolone sulla più classica delle bucce di banana. Un maresciallo dell’Arma è stato condannato, insieme con altre tre persone, per abusivismo edilizio: anziché un fabbricato rurale, si era fatto costruire una villa con piscina, tra ulivi e viti, in un’area sottoposta peraltro – sostiene il giudice, che cita un consulente tecnico – sottoposta a vincolo paesaggistico.
Opere realizzate un po’ in parziale, un bel po’ in totale difformità rispetto all’originario permesso di costruire ottenuto dal Comune. Autorizzazione, quest’ultima, chiesta peraltro a nome di un’altra persona per sfruttarne la qualità soggettiva d’imprenditore agricolo. A ciò si aggiungano, oltre a quello del prestanome (difeso dall’avvocato Mariaelisa Longo), anche gli apporti di un progettista (difeso dall’avvocato Giancarlo Camassa) e di un costruttore (difeso dall’avvocato Francesco Damasco) compiacenti, ed ecco servito l’abuso.
La storia è lunga e un po’ complessa, ma meritevole di essere raccontata, anche perché si conclude – sempre processualmente – con un colpo di scena: lo spunto per un’ulteriore inchiesta a carico anche di un dirigente comunale.
Ai primi di settembre 2103 giunge ai colleghi del sottufficiale, ancora in servizio, un esposto anonimo nel quale era denunciata piuttosto dettagliatamente la faccenda. I carabinieri decidono allora di eseguire un approfondimento. Da una prima visura immobiliare il terreno indicato risulta intestato a un agricoltore e, poi, al catasto emerge che, sempre a suo nome, era stata aperta una pratica edilizia per la costruzione di un immobile. Dagli aerofotogrammi datati 2009 non è ancora stato modificato lo stato di quei luoghi, ma quando sul finire del 2013 un altro maresciallo si reca sul posto, ci trova il fabbricato già recintato al quale si accede da un cancello con sopra due iniziali: “R” e “R”. Il pubblico ministero, intanto, s’incuriosisce, apre un fascicolo e concede la relativa delega d’indagine agli investigatori. Così, successivamente si scopre pure che dal 2009, e fino al mese di luglio 2012, la fornitura di energia elettrica era stata intestata al proprietario formale del fondo – un imprenditore agricolo – mentre dall’agosto 2012 quella stessa utenza è intestata a un’altra persona, e cioè al sottufficiale poi finito a processo. Il proprietario di fatto.
Ne segue una perquisizione a casa dell’intestatario formale del bene immobile, dove i carabinieri trovano una cartelletta contenente un contratto preliminare di vendita, che era stato stipulato il 7 ottobre 2008, cioè prima che fosse presentata istanza al Comune per ottenere il permesso di costruire. La richiesta era stata firmata dall’imprenditore agricolo, con tanto d’indicazione di progettista-direttore dei lavori e impresa esecutrice, oltre ovviamente alle specifiche progettuali per la realizzazione di un fabbricato rurale da adibire a civile abitazione: zona giorno, cucina e sala da pranzo, due camere da letto (una matrimoniale e l’altra doppia), un bagno e un antibagno; al piano terra sarebbe sorta l’abitazione, mentre da una scala esterna si sarebbero raggiunti un vano tecnico e il lastrico solare. Nella relazione allegata era specificato come il fabbricato sarebbe ricaduto in area agricola di quel comune e al fascicolo era allegato anche l’asservimento del terreno al manufatto. Insomma, carte in regola tanto che il 18 giugno 2009 viene rilasciato il permesso di costruire.
Il 24 marzo 2010 l’ingegnere (progettista e direttore dei lavori) procede a un aggiornamento catastale, frazionando l’unica particella in due particelle distinte: la prima finisce nel catasto terreni, la seconda nel catasto fabbricati (piano terra, primo piano, piscina più un piccolo corpo di fabbrica annesso). Il nuovo accatastamento diventa definitivo il 28 ottobre 2010. Nel frattempo era già cambiata l’impresa esecutrice, sebbene poi i lavori li effettuasse un’altra ditta ancora, come risulterà da due fatture (del 12 dicembre 2009 e del primo luglio 2010) intestate al proprietario formale.
Il 27 novembre 2013 sul posto si reca anche la Forestale e la costruzione appare ultimata, anche se non ancora abitata: già a primo impatto, sembra però abbastanza differente rispetto al progetto. Il fabbricato si sviluppa su due livelli, il primo piano risulta raggiungibile da una scala interna e non esterna, quello che avrebbe dovuto essere un vano tecnico è un bagno interno, e c’è anche un ripostiglio. All’esterno, inoltre, sono comparsi due fabbricati più piccoli completamente assenti dal progetto depositato in Comune e approvato: una cucina più una dependance-deposito attrezzi. Infine, ecco anche la piscina. La villetta viene intanto sottoposta a sequestro.
Il pubblico ministero, su accordo delle parti, dispone quindi una consulenza tecnica. L’ingegnere che la esegue conclude che l’immobile realizzato è completamente difforme dal progetto sia per la sagome delle opere che per volumi e superficie. In particolare: la scala esterna era stata inglobata e aveva quindi fatto aumentare la cubatura; la copertura presenta altezze maggiori (non solai, ma volte a crociera e a botte); il primo piano è stato ampliato e non coincide con il volume tecnico; sono state costruite quattro strutture esterne accessorie (un’area forno-barbecue, una destinata a cucina rustica, una con bagno, divano e armadio, infine la piscina). Tutto questo – stabilisce il consulente – eseguito senza alcun titolo edilizio e in assenza di autorizzazione paesaggistica nonostante l’area ricadesse nel Putt.
Che si tratti di un’abitazione dotata di ogni comfort e finiture di pregio, e non di un fabbricato rurale, sembra a questo punto palese. Restano da attribuire le specifiche responsabilità. E quelle più serie ricadono sul maresciallo dell’Arma, proprietario di fatto (del 25 maggio 2009 una quietanza liberatoria allegata al contratto preliminare seguita al pagamento di 4mila euro) e promotore del disegno criminoso, e sul progettista. Non se la cavano però neppure gli altri due.
L’imputato principale, difeso dall’avvocato Pasquale Annicchiarico, tenta allora di giocarsi la carta dell’intervenuta prescrizione, ma il tentativo fallisce perché il giudice Giuseppe Biondi fissa il termine da cui essa decorre nel 3 marzo 2014, quando cioè l’immobile poteva dirsi ultimato. E, allora, ecco che spunta un altro potenziale asso nella manica: il 22 febbraio 2016, ormai a ridosso dell’ultima udienza e della sentenza (giunta il 25 febbraio), l’Ufficio tecnico comunale concede un permesso di costruire in sanatoria condizionato alla demolizione di alcune opere (il forno-cucina e il locale deposito).
Il magistrato però non ci sta e, anzi, ravvisa profili d’illiceità in quell’atto al punto che ne dispone la trasmissione al pubblico ministero perché “svolga gli opportuni accertamenti in ordine ai reati ravvisabili”. Inoltre, condanna tutti: 5 mesi di arresto e 23mila euro di ammenda per il costruttore; 7 mesi di arresto e 33mila euro di ammenda per l’imprenditore agricolo-proprietario formale; 10 mesi di arresto e 35mila euro di ammenda per l’ingegnere-progettista-direttore dei lavori. Infine, la condanna più dura è proprio per il maresciallo: un anno di arresto e 40mila euro di ammenda.
«Pur rivestendo una particolare qualifica soggettiva – scrive il giudice nelle motivazioni – non ha esitato a commettere il reato con estrema pervicacia fino a indurre (…) l’imprenditore agricolo-proprietario formale a richiedere il permesso di costruire in sanatoria, all’evidenza illegittimo e illecito». Sospensione condizionale della pena per il maresciallo, per il proprietario fittizio e per il costruttore, subordinata però – relativamente ai primi due – alla demolizione delle opere “illecite e abusive” entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza. Per tutti e tre anche il beneficio di non menzione nel casellario giudiziale. Nessuno sconto, invece, per l’ingegnere, che era già gravato da un precedente specifico e che è stato comunque assolto dall’accusa di falso ideologico per non aver commesso il fatto.
Il sottufficiale, ex comandante di stazione, si è nel frattempo congedato dalla Benemerita e, per quanto attiene a questa vicenda, ha presentato appello. E chissà se un giorno potrà finalmente godersi la pensione anche in quella villetta, tra ulivi e viti, proprio così come forse un tempo aveva immaginato. Chissà se quel giorno quella villetta sarà ancora la stessa o si sarà trasformata in un fabbricato rurale.