Lo diciamo? Diciamolo. A Oria, prima e unica presunta “enclave” della Xylella, hanno tagliato non una, ma due volte. Tantissime, se si considera che l’epicentro dell’epidemia risiede altrove. Qualcuno si è opposto, altri hanno incassato. Osservare oggi quel che accade a Torchiarolo – un terzo di Oria – e nel Leccese, compatto a difesa degli ulivi, è esemplare ma, allo stesso tempo, mortificante.
Ricorsi massicci – nel senso di: proposti in massa – al Tar, presìdi permanenti nelle campagne, proteste pubbliche lungo la superstrada, difese a oltranza. Il sindaco Nicola Serinelli che va in Procura annunciando un esposto per presunte omissioni, peraltro datate, da parte di qualcuno che oggi potrebbero danneggiare tanti.
Un altro mondo, insomma. Peccato che quel mondo disti da Oria, dove gli ulivi condannati a morte sono molti di più, appena una manciata di chilometri.
I manifestanti del Leccese sono venuti a Oria, quando si sono sentiti chiamati in causa. Quelli di Oria, invece, l’altro ieri, ieri e oggi dov’erano? A presidiare cosa? Campi di rassegnazione mista a invidia e revanscismo spicciolo o a coltivare la solita politica del Nimby (Not in my backyard, non nel mio cortile)?
No, signore e signori, o una battaglia del genere, una battaglia a difesa delle proprie radici, è comune, perlomeno maggioritaria e partecipata o, semplicemente, quella battaglia non è.
Se dev’essere l’occasione, come sembra, per la manifestazione, seppure implicita, di pigrizia, rancore o anche solo ignavia diffusi e deleteri, tanto vale rassegnarsi.