«Li volete i beni dei Bruno?». «Ci dobbiamo pensare». Così, in estrema sintesi, si sono espressi i Comuni di Oria e Torre Santa Susanna di fronte alla possibilità di annettere al loro patrimonio parte di quello – totale circa cinque milioni di euro – confiscato definitivamente al clan legato al gruppo Scu “Rogoli-Buccarella-Campana” sgominato nel 2008 con l’operazione Canali, che condusse a 22 arresti (tra gli arrestati anche Andrea Bruno, fratello di Ciro e Antonio).
Oltre che a Oria e Torre Santa Susanna – per ora in stand-by dopo aver chiesto un rinvio di 30 giorni per dare una risposta – parte dei beni immobili confiscati è stata dirottata (dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) ai Comuni di Mesagne (4 ettari) e San Pancrazio (6 ettari), che si sono già detti pronti ad accoglierla. I beni mobili, soprattutto attrezzature e mezzi agricoli) sono stati invece destinati alla cooperativa mesagnese “Terra di Puglia – Libera Terra”.
Ma in cosa consistono, più concretamente, questi beni immobili? In sostanza, in un’azienda agricola, in una masseria del XVI secolo completamente ristrutturata e in circa 60 ettari di terreno (seminativo, uliveti e vigneti).
Ma perché Oria e Torre Santa Susanna (paese d’origine dei Bruno e quindi sul quale insiste la maggior parte del patrimonio confiscato) hanno chiesto 30 giorni? Sostanzialmente per conoscere meglio la situazione e per studiare in prospettiva l’eventuale destinazione d’uso dei terreni.
Terreni che dovrebbero, oltre che servire da esempio e ammonimento, anche produrre utilità per l’intera collettività poiché per l’appunto provenienti dalle fortune accumulate in maniera quantomeno dubbia dai precedenti proprietari, a carico dei quali la Finanza condusse un’accurata indagine economico-finanziaria a seguito della quale emerse una consistente sproporzione tra i redditi dichiarati e il patrimonio immobiliare e mobiliare.
