Censimento Dia: «A Brindisi e Taranto poca mafia», ma occhio alla criminalità disorganizzata

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Se il censimento semestrale della Dia (Direzione investigativa antimafia) fotografasse l’universo mondo della criminalità, in provincia di Brindisi e in provincia di Taranto si potrebbe, tutto sommato, dormire sonni tranquilli: cinque organizzazioni criminali presenti e sotto osservazione nel Brindisino e appena quattro nel Tarantino, a fronte delle 12 del Barese, delle 11 del Leccese e delle sette della Bat. Settantuno in totale, mica poche. Soltanto che non sempre e non solo ove vi siano sacche criminali cosiddette organizzate, la percezione della criminalità da parte dei cittadini tocca il massimo.

Paradossalmente, spesso accade il contrario: la criminalità disorganizzata è più insidiosa. Tra rapine, spaccate, furti in appartamento e d’auto, tanto per citare alcune piaghe piuttosto diffuse a queste latitudini, quest’ultima colpisce e sparisce. Quando c’è un’organizzazione nota alla magistratura e alle forze dell’ordine, insomma, tutto appare più semplice: sembra un assurdo, ma è in fondo soltanto la teoria dell’ordine, quindi dell’organizzazione, che in tal senso perde contro quella del caos. Tanto per fare un esempio: se è un affiliato a colpire, si sa quale pista battere; se, invece, è un delinquente comune o casuale, magari anche bravo nel suo ambito, tutto si fa più difficile. E, anche a distanza di anni, i casi restano “cold”, irrisolti.

Al di là di queste considerazioni, semplici eppure necessarie, è un lavoro certosino quello della Dia. L’organismo investigativo interforze della Puglia è riuscito a inquadrare le cosche che, aderendo a un sistema mafioso, operano a ogni latitudine nella regione ma anche, soprattutto, i loro ambiti operativi. Anche in questo senso non mancano le sorprese: il contrabbando è un settore in disarmo ormai da anni, mentre resta in auge il redditizio traffico di sostanze stupefacenti anche a causa di un numero di assuntori purtroppo in crescita. Ma, oltre ai classici appalti, dalla relazione Dia emerge come le organizzazioni criminali abbiano individuato nuovi ambiti nei quali diversificare i propri investimenti e da cui trarre, in definitiva, i propri profitti. Uno di essi è – chi l’avrebbe mai detto? – la contraffazione alimentare. Il commercio, cioè, di falsi prodotti contrassegnati dai marchi Dop, Doc, Igt, ecc. Distintivi di qualità in realtà finti che consentono ai rivenditori, ma soprattutto ai loro mandanti di lucrare, eccome, sugli alimenti.

Sì, perché le mafie sanno quali sono gli andamenti del mercato anche e soprattutto in tempi di crisi. L’alimentare continua a tirare? Bene, anche loro punteranno sull’alimentare. Ovviamente, nel modo che è loro più congeniale. Esempio: sulla carta comprate Parmigiano Reggiano, ma potrebbe essere tranquillamente stato prodotto nella masseria dietro casa che, come anche voi sapete, non è a prova di Nas.

Su questo, ma pure su tanti altri aspetti, si è concentrato e si concentra il lavoro della Direzione investigativa antimafia. In quanto alla criminalità comune o disorganizzata che dir si voglia, quella con cui spesso si ha a che fare semplicemente uscendo di casa, il compito di contrastarla spetta alle forze dell’ordine dislocate sul territorio. Forze dell’ordine che fanno il possibile, ma – come accennato – dare la caccia ai “soldati” di un’organizzazione con un apice e diverse ramificazioni può essere relativamente più semplice che mettersi sulle tracce di un pinco pallino qualsiasi, magari autore di un’unica rapina che gli è valsa un lungo periodo di tranquillità economica e, dunque, di vacanza dal delinquere.

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