Ammessa la costituzione di quattro parti civili, ma il Tribunale di Bologna si è dichiarato incompetente per territorio: torna nella sua terra “natìa”, a Brindisi, il processo intentato nei confronti di cinque medici dell’ospedale di Francavilla Fontana, tra i quali il primario ed ex sindaco Vincenzo della Corte, accusati di omicidio colposo per aver sottoposto nel 2011 un paziente a due interventi chirurgici sbagliati, conseguenza forse di diagnosi altrettanto sbagliate, e di aver dimenticato nell’addome di un paziente un tubicino forse anch’esso sbagliato. Una sequela di presunti errori che, secondo l’accusa, avrebbe poi condotto l’uomo alla morte nell’ospedale Sant’Orsola di Bologna.
Si è celebrata stamane dinanzi al giudice ad hoc del presidio di giustizia emiliano l’udienza preliminare a carico dei medici Vincenzo della Corte (primario di Anestesia e rianimazione), Rocco Montinaro (primario di Chiururgia generale), Alessandro Perrone (dirigente medico di Chirurgia generale), Domenico Lamacchia (dirigente medico di Chirurgia generale) e Cosmiana Galizia (dirigente medico di Anestesia e rianimazione).
Dopo aver ammesso la costituzione di quattro parti civili – figlio, nipoti e fratello della vittima, assistiti dagli avvocati Domenico Attanasi del foro di Brindisi e Vincenzo Bianco del foro di Bologna – il gup ha però dichiarato la propria incompetenza, rimandando gli atti del procedimento e del processo a Brindisi, dove si sarebbero consumati i presunti reati contestati agli imputati. Gli altri presunti danneggiati potrebbero optare per l’attivazione diretta di un’azione civile.
I fatti risalgono all’aprile del 2011, quando C. A., 67 anni, si recò presso il Camberlingo di Francavilla, con gravi sintomi di malnutrizione (arrivò a pesare appena 50 chili). Sbagliando completamente diagnosi – o almeno questa è l’ipotesi dell’accusa – i medici decisero di sottoporlo a una “banale” colecistectomia (giudicata dalla Procura come “del tutto inutile”). Montinaro e Perrone decisero di dimettere il paziente poco dopo – troppo presto secondo la pubblica accusa – “pur in presenza di esami di laboratorio notevolmente alterati” e “senza approfondire il quadro clinico”. Risultato? 24 ore dopo il paziente dovette essere ricoverato nuovamente d’urgenza e sottoposto a un secondo intervento chirurgico.
“Nell’effettuare un’ulteriore errata diagnosi – scrive la Procura – e nel procedere ad un ulteriore intervento chirurgico inutile” e “non a regola d’arte”, “non veniva rimosso al termine dell’operazione, dall’addome del paziente, un corpo tubolare della lunghezza di circa 7-10 centimetri”. Tubicino che “determinava l’insorgere di una peritonite”. Secondo la Procura di Bologna non fu quel tubicino a causare la morte del 67enne avvenuta sei mesi dopo al Sant’Orsola, ma di certo quegli errori, quelle operazioni inutili, e quel corpo estraneo in particolare, ostacolarono la diagnosi corretta nel caso del suo ultimo ricovero.
A quattro anni di distanza dai fatti contestati – i fatti nel mirino delle indagini iniziarono col primo ricovero nell’aprile 2011 e terminarono col decesso nel novembre dello stesso anno -, la magistratura ha ora deciso di non archiviare il caso, riservandosi di procedere con la richiesta di rinvio a giudizio. Persone offese nel procedimento, difese dagli avvocati Domenico Attanasi e Maria Teresa Bianco, sono la moglie dell’uomo, i tre figli, i fratelli e i nipoti.
Nei mesi scorsi, Lo Strillone ha ospitato e ripropone anche la versione delle persone accusate – a loro dire ingiustamente – di omicidio colposo. Qui la nota del dottor Perrone e qui, invece, le dichiarazioni del dottor della Corte.