Oria, il padre denuncia la figlia per molestie e minacce. Ma durante il processo salta fuori la verità

di EMILIO MOLA

tribunale di brindisiLasciare la propria famiglia: succede. Sposare un’altra donna: di solito è una conseguenza, o una causa. Ma denunciare la propria figlia per molestie e minacce perché lei, dopo averla invitata al secondo matrimonio nelle vesti – per giunta – di testimone, un po’ se l’è presa e non te le ha mandate a dire, no, non si era mai sentito prima. Eppure è successo, a Oria. E’ accaduto che un padre, A. Petese, abbia querelato sua figlia Mariagrazia, sangue del suo sangue, per minacce, molestie e ingiurie. La sua colpa? Avergli vuotato al telefono tutta la sua delusione, e aver affisso in una via di Mesagne, il giorno delle seconde nozze, un manifesto con su scritto il seguente messaggio rivolto ai novelli sposi: “16 anni insieme, 8 alle spalle di una famiglia abbandonata, 10 alla luce del sole (che eleganza!), auguri padre. E’ finita la tregua. Tua figlia. La prima”.

La faccenda, dopo il vaglio della Procura, è approdata in un’aula di tribunale, a Brindisi: e lì, questa mattina, si è tenuta la prima udienza del processo, nonostante la remissione della querela per ingiuria e minacce (l’accusa di molestie, invece, non è rimettibile). Da una parte, il padre accusatore. Dall’altra una figlia sconvolta e in lacrime. Accanto a lei il suo legale di fiducia che però da difendere ha avuto ben poco. A sottoporre a una sfilza di domande e perplessità il padre è stato, assieme al legale, il giudice chiamato a pronunciarsi sull’insolito caso. Un giudice donna, che scusandosi con l’avvocato difensore per “l’intromissione”, ha interrogato A. Petese su questioni tutt’altro che trascurabili.

In sintesi: “Prima di questi episodi sua figlia l’ha molestata telefonicamente o in altro modo?”. “No”. “La sua qualità della vita è peggiorata a seguito di queste telefonate e messaggi?”. “No”. “I comportamenti di sua figlia hanno ostacolato il suo matrimonio?”. “No”. Quindi? Quindi c’è stato ben poco da fare. Tanto che, lo stesso pubblico ministero che avrebbe dovuto sostenere l’accusa – quindi il padre dell’imputata – non ha potuto far altro che chiedere l’assoluzione della ragazza. Mentre l’avvocato ha rinunciato ad ascoltare tanto l’imputata, quanto i testimoni portati in aula.

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