13 agosto 1961
9 novembre 1989
9 novembre 2014
Nascita, morte ed eredità del Muro più famoso del mondo
di Cosimo Patisso
Come il millenario “Yin e Yang”, come il (meno seducente) “bianco e nero”, così c’era una volta – e oggi ne siamo orfani – l’ultimo simbolismo socio-culturale, l’Est e l’Ovest: concetto ideato (ed innalzato) in una notte da anonima manovalanza russo-tedesca con calcina di malta e cazzuole e abbattuto, sin dal giorno dopo, per ventotto lunghissimi anni mattoncino rosso dietro mattoncino rosso, anzi “brick by brick” (immaginandosi quel “muro” cartoonisticamente simile a quello dei Pink Floyd) da menti nobili, a volte visionarie (proprio così, visionarie, perché Nikita Chrusceev aveva sentenziato fiduciosamente «L’Unione sovietica durerà mille anni!») che corrispondevano alle facce rischiosamente note di Imre Nagy o Alexander Dubcek o Lech Walesa.
Per l’effetto di tanta ingegneria edilizia, due mondi si contrapposero, “l’un contro l’altro armato”, ma cristallizzarono, apoditticamente e per sempre, due sguardi sulle Cose delle Res politica, del Sociale, dell’Ideologia ma anche dello spicciolo di vita quotidiana; la Storia dell’intera umanità, e non è maniacale sostenerlo, restò freddamente sospesa tra guerra e pace, fra splendori (la concorrenziale corsa alla conquista dello spazio) e baratro (i missili a testata nucleare pronti a Cuba e puntati contro gli Stati Uniti); un’epoca, o forse un’epopea, corse veloce fra punte nostalgiche di conservatorismo, e con esso di conservazione dello status quo, e frementi aneliti di libertà.
E chi raccolse, allora, proprio quegli appelli, spesso soffocati, in gola e non solo, al cambiamento? In principio fu il berlinese, presidente americano, John F. Kenedy che, in Rudolph Wilde Platz a Berlino Ovest, tuonò, profondendo speranze: «Ich bin ein berliner»; poi fu la volta di Papa Giovanni Paolo II, a Varsavia, dove pregò insieme a un’oceanica quanto inattesa – dal regime – folla: «Auspico vivamente che il mio presente viaggio in Polonia possa servire alla grande causa dell’avvicinamento e della collaborazione tra le nazioni», profetizzò; infine arrivò, a Mosca, a spazzare definitivamente la churchilliana cortina di ferro il vento dell’Est – manco a dirlo – Michail Gorbacev con la sua rivoluzionaria Perestrojka e il Glasnost.
Insomma, la domanda da porsi è qual è oggi il resoconto sulla “nuova” Europa a venticinque anni dalla caduta del muro di Berlino, quale l’eredità di quest’ultimo avvenimento? Di nuovo la risposta, limitata al campo economico e politico, non può essere univoca ma, come al tempo, ovviamente sdoppiata e contrapposta: scomparsa dell’economia pianificata ovvero kartoffeln e riscaldamento garantito a tutti, tuttavia kartoffeln e riscaldamento e basta; implementazione dell’economia di mercato ovvero libera concorrenza di merci, prezzi e, perché no, uomini, ma dipendenza funzionale dalle multinazionali con compressione delle identità locali in tutto il continente; avvicinamento della Russia all’Europa, sua sede naturale, e conseguente gara al disarmo nucleare dei due ex contendenti, tacitazione di guerre intestine (e mica tanto!), all’opposto assenza di bilanciamento, equilibrio, reciproco controllo e soprattutto di confronto ideologico-culturale, persino nella più semplice forma di fucina sperimentale di idee differenti.
In conclusione, mutuando il format di una nota trasmissione televisiva, mi permetto di offrire al lettore una chiave di lettura di quel periodo storico utilizzando una canzone: “Libertà” di Al Bano e Romina Power; un film: “Le vite degli altri” di F.H. Donnesmarck; un libro: “La primavera di Praga” di Demetrio Volcic; un luogo da visitare: Sophia, Bulgaria.