Non c’è pace per Cosimo Maggiore, l’imprenditore di San Pancrazio Salentino che nel 2006 denunciò per estorsione il boss torrese della Sacra Corona Unita Andrea Bruno, facendolo prima arrestare, poi condannare. Questa mattina, dopo il proiettile calibro 9 trovato sul cancello della sua ex azienda lo scorso febbraio, una nuova, disgustosa intimidazione: escrementi lasciati al centro di un’edizione del 2010 del Nuovo Quotidiano di Puglia, squadernato sulle pagine di Lecce, davanti all’ingresso del capannone. Per lui, un chiaro, inequivocabile messaggio, in pieno stile mafioso. Ma non vuole sbilanciarsi su chi possa averglielo lasciato: troppe le persone a cui ha pestato i calli per non chinare la testa davanti a chi voleva strappargli il frutto del suo lavoro, a chi esigeva denaro in cambio di “protezione”. Bruno e il suo complice non sono i soli condannati per via delle sue denunce. Due anni fa è stata la volta dei sandonacesi Antonio Occhineri, Mario Mussardo e Vito Conversano: 21 anni di galera in tre. E a giorni, il 19 settembre, si andrà in Appello, a Lecce. E poi ci sono gli altri.
In tutto, dal 2006 a oggi, Maggiore ha sporto 23 denunce. Da allora vive sotto scorta. E da allora, lentamente, ha perso tutto: la libertà, la serenità, il lavoro, l’azienda. Oggi chiede solo di essere lasciato in pace, dimenticato. Sul cancello della sua fabbrica, fra le altre minacce, gli hanno lasciato un avvertimento: “Se ti fai parte civile muori”. E lui, almeno stavolta, vuole cedere alle minacce: “Maledico il giorno che non diedi retta a quella scritta. Ma a loro voglio dire di stare tranquilli. Non mi costituisco più parte civile, ma lasciatemi stare”. E assicura: “L’infame che sa la fa con gli sbirri non denuncia, non me la faccio più con gli sbirri. Non ce la faccio più. Lasciatemi stare”.
Emilio Mola