«Il lavoro è dignità, non carità» e «Abbiamo bisogno di lavorare». Un ombrellone per proteggersi dal sole cocente, facce un po’ scocciate un po’ arrabbiate e la speranza che – nonostante tutto – resta viva. Avrebbero potuto andarsene al mare, ieri mattina, i tre giovani che hanno inscenato un sit-in di protesta di fronte ai cancelli dello stabilimento di Taranto.
E invece hanno preferito starsene là, a invocare un sacrosanto diritto: quello di lavorare, ché di bivacco ne hanno abbastanza. Erano tutti e tre tarantini, ma avrebbero potuto essere di qualsiasi parte della Puglia, i tre. Una reazione pacifica e pacata, ma non per questo meno rilevante, alla notizia – trapelata giorni fa – secondo cui il colosso del settore aeronautico avrebbe assunto un centinaio di cittadini rumeni, anziché tecnici italiani, per potenziare lo stabilimento pugliese.
«Non si trovano operai specializzati in Italia», è stata la spiegazione fornita dall’azienda.
Loro, però, non ci stanno e sostengono a chiare lettere, nonostante il caldo e gli innumerevoli tormenti interiori: «Vogliamo lavorare, mica la carità e, se ci mettete alla prova, vi dimostriamo anche che siamo bravi almeno quanto i rumeni».
Non è una battaglia razzista, ma soltanto per la sopravvivenza. «Senza lavoro, muore un intero territorio, non soltanto la gente che qui ci abita». Se saranno ascoltati e in qualche modo compresi, non è dato sapere.
Di sicuro c’è che continueranno a far sentire la propria voce, ché di bighellonare – loro e tanti altri – proprio non ne hanno intenzione alcuna. Ci sono famiglie da mantenere, spese da sostenere e impegni da onorare. Ma senza un’occupazione il tutto diventa così difficile e asfissiante. Più del sole, come solo la fame. Meno forse solo della morte.
Eliseo Zanzarelli