Se non si trovasse dove si trova, cioè a Oria, godrebbe sicuramente – spiace dirlo – di maggiore fama e migliore fortuna, perché il Museo etnografico della civiltà contadina, che sorge accanto al santuario di San Cosimo alla Macchia, è qualcosa di straordinario per la quantità, la varietà e l’importanza storica degli oggetti esposti: circa 6mila reperti, esclusi foto, libri, giornali e riviste. Solo un euro per l’ingresso – i bimbi entrano gratis – poi tre ampi saloni su due piani, all’interno dei quali il geometra Gerardo Andriulo, originario di Francavilla, aiutato dalle guide turistiche della Cooperativa Nuova Hyria, ha messo a dimora una collezione che non solo racconta la vita nei campi e i costumi agricoli e agrari – un tempo tipici del Sud e, anzi, di esso principali fonti di reddito e sostentamento – ma anche un consistente spaccato storico-sociale contemporaneo, soprattutto dell’epoca fascista. Un’epoca che Andriulo, oggi 85enne, ha vissuto in prima persona e sulla propria pelle, decidendo poi di tramandarla ai posteri. Chi pensa che il museo di San Cosimo si esaurisca nell’esposizione di attrezzature campagnole, si sbaglia di grosso: tra i pezzi pregiati ci sono radio naziste, monete e banconote, uniformi militari e civili d’inizio Novecento, banchi di scuola, libri di testo, targhe e insegne pubblicitarie, rivoltelle e archibugi, strumenti di tortura – come una ghigliottina realmente usata e le maschere della vergogna – persino una raccolta rara di conchiglie, farfalle, animali, altri caratteristici “souvenir” che Andriulo si è portato dietro dai suoi viaggi per il mondo, in primis quello in Amazzonia durato nove anni. Curato e al contempo genuino, grazie anche alle spiegazioni e agli aneddoti che lo stesso ideatore è solito trasmettere ai visitatori, il Museo etnografico è un posto che vale tanto, molto più del biglietto d’ingresso simbolico. È un vero peccato che la gente non lo apprezzi per ciò che effettivamente rappresenta: un qualcosa di raro e prezioso, utile a farci meglio comprendere chi eravamo, da dove veniamo e – perché no? – chi e cosa siamo diventati, purtroppo anche quelli che si tengono alla lontana dalle proprie radici di fronte alla “minaccia” di dover pagare un euro per entrare, magari per poi donare anche più alla vicina chiesa o per far compere al mercatino, o quelli che – Diocesi e Comune – pur avendone le possibilità, non riescono a far fruttare anche economicamente un’attrazione che già di per sé merita.
Eliseo Zanzarelli